NU-SHU: l’ alfabeto segreto delle infelici spose cinesi che parla anche alle donne del Duemila

Angelica o diabolica, la donna è davvero una creazione speciale. Questa costola di Adamo gli si è staccata per vivergli accanto ma in una dimensione interiore autonoma, un mondo altro, intessuto di trame segrete, di comunicazioni sottili, mute, inespresse, impossibili alla maggioranza degli uomini di intercettarle. Sono quei “Sussurri e grida “ che solo la sensibilità del regista svedese Ingmar Bergman seppe intuire nell’animo femminile col suo film del 1972.
Sono quelle “grida” di dolore represso di donne non comprese, a dir poco, maltrattate e abusate di tutte le epoche. Oggi, a distanza di un migliaio d’anni, torna alla luce il Nu-Shu o linguaggio delle donne, una curiosità che va ben al di là di una semplice notizia di costume dell’antica Cina, ma che riveste significati profondi a mettere in rilievo come ogni donna di qualunque razza o estrazione sociale possegga quelle risorse interiori per affrancarsi da certe discriminazioni e soprusi .
All’ epoca dell’imperialismo cinese, le donne contavano meno degli animali, come conferma un proverbio di quel tempo “Meglio avere un cane che una figlia”. Ciò nonostante, molti erano i gruppi etnici con radici matriarcali, come quello degli Yao, nella provincia dello Yunan, dove le donne, spose infelici sottoposte al dominio maschile, ma forti di quel loro dna, riuscirono ad inventarsi un codice segreto da tenere nascosto agli uomini, un’ancora di salvezza interiore.
Pur se analfabete, in quanto l’istruzione era vietata alle donne, seppero architettare il loro linguaggio privato, appunto il Nu-Shu, un alfabeto pazientemente curato, composto da ideogrammi dallo stile tondeggiante, assai diversi per forma e quantità da quelli squadrati della lingua ufficiale e perciò inaccessibili. Quel linguaggio segreto, tramandato di madre in figlia, veniva espresso dalle donne durante i lavori quotidiani, cantato nelle cucine, nei lavatoi, nei momenti di tessitura, ricamato sui ventagli, sulle stoffe dei loro abiti e sugli oggetti di uso casalingo, così da divenire uno strumento liberatorio capace di alleviare le loro pene.
Quando Mao Tse-Tung rivoluzionò la Cina con l’avvento della Repubblica popolare nel 1949, furono trovati questi manoscritti e scambiati per codici dei servizi segreti, ma nemmeno i più esperti in materia riuscirono a decifrarli.
Ora, a distanza di secoli, un gruppo di donne colte dello Yunan ha fatto risorgere questo linguaggio di genere, riscoprendo quei testi che, per essere salvati dalla distruzione delle Guardie Rosse e dai roghi della rivoluzione culturale, erano stati sepolti sotto terra o nelle tombe di quelle donne che li avevano scritti. L’ultima depositaria del Nu Shu è morta nel 2004 all’età di 95 anni e si chiamava Yang Huanyi, la quale operò attivamente per divulgare anche in Occidente il suo messaggio, guadagnandosi riconoscimenti ufficiali.
Eppure il Nu-Shu lascia un suggello nel tempo quale simbolo di riscatto femminile. Se nello Yunan oggi diventa occasione di entertainment salottiero tra le signore dell’alta borghesia locale, il suo messaggio può essere raccolto dalla donna occidentale quando, nell’ironia di un conclamato diritto alle “pari opportunità”, frutto di anni di battaglie, tutto sembra catapultarla ai primordi nel dialogo con l’uomo. C’è da riflettere quanto certi residui di protervia maschilista regnino ancora sovrani anche nella classe cosiddetta “acculturata”.
Ma i femminicidi ci sconvolgono. Nel nostro Paese sono entrati a far parte della cronaca quotidiana con percentuali annue assai preoccupanti. Si spera solo che l’inasprimento delle pene contro questi delitti di genere voluto dal Decreto Legge dell’agosto del 2013 abbia il suo peso, anche se taluni esperti lo ritengono troppo “mite”. Ma intanto le statistiche, piuttosto discordanti per mancanza di un data base ancora in via di elaborazione, parlano di 128 vittime solo in Italia nell’anno appena trascorso. E già all’inizio del 2014 l’elenco macchiato di sangue femminile si arricchisce tristemente di giorno in giorno.
Sembra davvero superficiale liquidare il femminicidio come atto “passionale”, quando prende origine da tutta una serie di motivazioni culturali. Questa sottocultura, alimentata dalla grave crisi economica, fa precipitare in situazioni border-line gli individui più colpiti e fragili, i quali si rivalgono proprio sulla donna che gli sta accanto e su quei soggetti che la donna ( “mater “ e quindi simbolo di generatrice di vita ) rappresenta come tale nell’ambito familiare. Da qui stragi collettive domestiche, muoia Sansone con tutti i filistei.
Anche il solo e devastante fenomeno dello stupro sembra allargarsi a macchia d’olio. Quindi un fenomeno globale, come globale è la crisi, come globale è il disorientamento di fronte ai cambiamenti repentini dell’assetto sociale. La donna, tesa da sempre all’emancipazione e ormai facente parte integrante del tessuto produttivo, sembra essere la prima vittima di questi cambiamenti.
Le notizie che giungono dall’ India, dove gli stupri sono all’ordine del giorno, rivelano come la condizione femminile nei Paesi orientali resta pressoché immutata a distanza di secoli. Dietro quel carrozzone macinasoldi della Bollywood da mille e una notte c’è tutto un mondo fermo alla cultura patriarcale, allo sfruttamento dell’immagine di una donna complice anch’essa della smania di soldi e di successo. Poi, al di là di questo paravento colorato ed ipocrita, c’è l’India estremamente povera delle spose vendute come merce di scambio e degli aborti selettivi, laddove una donna viene fatta abortire se il feto si rivela “femmina”!
Le leggi sono certo una tappa a dare un giro di boa a culture dominanti da secoli. Ma più incisiva resta l’istruzione, con il recupero di quella Scuola con la maiuscola che appare latitante in materia di educazione sentimentale dei giovani, ai quali andrebbe insegnato che uomo e donna sono complementari l’uno all’altra nel rispetto reciproco, pur nella loro diversità caratteriale. Ma quando un mondo fa acqua da tutte le parti, marciscono gli stipiti di quelle porte principali che aprono alla crescita della persona.
Ricordare quell’antico messaggio Nu-Shu nella ricorrenza dell’8 marzo è un’occasione da non circoscrivere a un solo giorno dell’anno. E’ un ventaglio disegnato da ogni donna coi suoi speciali ideogrammi. E’ un alito di vento che può spostare montagne. In ogni epoca e latitudine essa si muove in un universo protetto dai suoi silenzi e da quell’alfabeto segreto che serba scritto nelle pieghe della sua anima.
Angela Grazia Arcuri
5 marzo 2014