BABY SQUILLO: col permesso di mammà…
Non stupiamoci. Tanti sono gli stupori che abbiamo finito di stupirci.
Il giro di prostituzione minorile, scoppiato nel quartiere della Roma-bene e allargato a macchia d’olio in altre città italiane, non ci racconta niente di nuovo sotto il sole. Ci desta solo una crescente preoccupazione.
Se la cosiddetta “ gioventù bruciata” degli anni ’50 (quella del film con James Dean) diventa la favola triste di un dramma psicologico giovanile dell’incomunicabilità con i genitori, dopo sessant’anni la favola della gioventù si “abbrustolisce” sulla graticola dei tempi, una grossa graticola che frantuma sogni non ben definiti, certezze ancora inesistenti. Mezzo secolo è come un battito d’ali nel disegno della storia. E sembra infatti che nulla sia cambiato, che gli stessi problemi si ripropongano intatti , anzi ingigantiti.
La realtà che stiamo vivendo ci appare come in uno specchio deformante, esaltata negli aspetti più maleficamente invitanti di un certo tipo di consumo che, con la crisi profonda sopravvenuta, rimane appannaggio dei più abbienti ed esca per i più giovani sbalestrati senza valori insegnati da chicchessia, né a casa né a scuola. Giovani coartati a consumare le loro ventiquattr’ore soltanto nell’occhiata frettolosa all’orologio delle loro ambigue conventicole, alla soddisfazione prepotente degli illusori “privilegi” offerti sul piatto della liberazione sessuale degli anni ’50, degenerati nel libertinaggio anziché nel consapevole esercizio dell’amore. Gli status symbol dell’apparire, come la borsa, il paio di occhiali, le scarpe o i jeans griffati rappresentano solo il corollario di queste giovani esistenze inconsapevoli. Il desiderio passa per gli occhi e sotto gli occhi passa di tutto, gestito in modo schizofrenico da quel tritacarne che è diventato il mercato dei beni, che imbocca ogni scorciatoia pubblicitaria spesso ingannevole e pericolosa per i giovanissimi.
Gli anni belli di quella che veniva chiamata adolescenza non subiscono più la fisiologica e pur sempre difficile transizione fuori dall’infanzia, ma prendono i connotati di un’angosciante e confusa rappresentazione senza regia e filo conduttore. La maggior parte di questi giovani sono alla ricerca di se stessi, di un’identità personale e sociale che non riescono a cogliere perché le generazioni che li precedono non hanno ancora trovata la loro. Confusione e inesistenti modelli di riferimento regnano sovrani nelle nostre giornate ed è ora di farci un esame di coscienza, dalla famiglia alle istituzioni. Non sono i giovani ad essere sbagliati.
Per queste Lolite del Duemila, cresciute in un certo humus familiare, il libro di scuola è un pezzo di carta da stracciare, magari nello scarico di quel bagno dove si consumeranno i rendez-vous più immediatamente utili a guadagnarsi il corrispettivo di una ricarica di cellulare e la sera nel compiacimento di ricchi e traviati barbagianni.
A casa ti aspetta mammà ( che quei libri non li ha mai letti), ansiosa di conoscere il calendario quotidiano degli appuntamenti della sua “bimba” per potersi regolare sul pagamento di quelle bollette mensili, assassine della sua coscienza materna. E’ probabile che la bimba, quel giorno, non se la senta proprio di… sovraffaticarsi, ma la genitrice è inflessibile. “ Datti da fare, bella e’ mammà!”
Infatti, accanto allo straordinario progresso tecnologico non è andata di pari passo la crescita della persona. Se da una parte la potestà genitoriale ha subito dei contraccolpi, in quel rapporto da manuale moderno forse troppo “au pair” venutosi a creare tra genitori e figli, continuano ad esistere sacche di ignoranza tra gli adulti vecchio stampo che non riescono ad abbattere certi muri, continuando a tenere in piedi un rapporto coi figli fatto di silenzi e divieti, ma dialogo e amore zero. Dall’altra, vedasi, genitori senza una spina dorsale, in gara coi figli, rincretiniti per primi dalla mania dell’immagine e privi di qualsiasi principio. Un guazzabuglio di individui, dove ognuno rema per conto proprio.
Cosa s’è costruito in quest’ultimo mezzo secolo? L’ipertecnologia ci facilita qualsiasi scambio abituandoci alla mollezza di una sedia piuttosto che all’esercizio delle gambe. Il twitter fa cinguettare il suo usignolo alla velocità della luce e gli altri social network servono ai giovani per far sapere che esistono, con le loro faccette, il loro “io sono, io faccio, io dico, io leggo, io vedo…”. Cosa c’è dietro l’esaltazione della loro personalità e capacità se non il bisogno di esserci, di comparire, di parlare con qualcuno perché i genitori magari non li ascoltano, di crearsi un lavoro che non trovano perché lo stato non offre risposte?
Per fortuna che questi giovani ancora esistono, popolano le università, affollano le metropolitane, gli autobus e le strade al mattino presto verso la speranza disperata di costruire in qualche modo se stessi, che non tutti sono uguali a quelli che si servono del tablet per il guadagno di una serata. Bisognerebbe piuttosto che certi genitori tornassero a scuola a imparare l’abc della vita. Meglio non chiedersi cosa ne sarà di quei loro figli non appena riusciranno ad aprire gli occhi sul vuoto che gli si farà dentro. Un grande vuoto.
Angela Grazia Arcuri
Roma, 11 novembre 2013