Quotidianità di ordinaria follia

Sveglia al mattino, ore 7, l’uomo X da lavoro – per il lavoro – si alza dal letto, quel letto che da anni gli assicura l’unico momento di agio e riposo. Occhi imbronciati, sguardo assente, passo lento, movimenti meccanici. Dalla sua finestra filtra un raggio di luce, quella luce, unico elemento che di naturale c’è nella sua vita artificialmente composta. Lentamente questo raggio si spande nella stanza, illuminando il sentiero che dovrà percorrere. Ha sempre pensato di cambiar vita, ripetendosi:” mollo tutto e vado…”, ma non ha mai trovato una destinazione.
Il tempo scorre, i movimenti si fanno veloci, sempre più veloci. In mezz’ora – in quella sempre uguale mezz’ora – è vestito, valigia in mano, verso il lavoro, il lavoro di garanzia, per una sopravvivenza dignitosa. Volge lo sguardo indietro, per non lasciare nulla in disordine. Non c’è tempo al ritorno per sistemare. Tutto è al proprio posto, in ordine. Se sei nella prassi non c’è modo di tornare indietro. Nell’abnegazione lavorativa post-moderna devi aumentare le tue potenzialità per competere, misurarti col simile ed essere sempre al top, anche quando non sei in forma.
Ore 7e 45, come ogni mattina, tutti in fila ai tornelli. Giù per le scale mobili. Con la coda dell’occhio ti sembra di aver visto qualcuno. Forse lo conosci, forse no, meglio di no – non ha importanza. Il tempo scorre, non puoi consumarlo, la tua utilità diminuirebbe. L’utilità emotiva è minore dell’utilità che puoi ricavare da un’ora di lavoro. Ce l’hanno insegnato. Il tempo è denaro e non emozioni.
Tutti in banchina che aspettano il treno. Cuffie in testa, sguardo basso. Arriva finalmente. Un fiume di gente che entra e si fa spazio sgomitando. Devi entrare, non ti è concesso perdere il treno. C’è chi si specchia sui vetri della metro, chi legge un libro e tanti che con la testa chinata giocano ad holliwood monsters o angry birds space. Il più sfigato è chi non ha nulla in mano e guarda le pubblicità sullo schermo.
Nel frattempo il sig. X volge uno sguardo all’orologio, un altro al giornale del vicino. In prima pagina legge; “Berlusconi attacca il governo e rilancia forza Italia con un video messaggio”. Forza Italia? Riflette… Sarà un collezionista di giornali vintage. Non è così. Tutto sembra cosi surreale e si domanda. Dov’ero quando tutto ciò accadeva? Forse a lavoro, forse dormivo o non volevo sentire. Tira un sospiro. Vorrebbe intervenire nelle discussioni, ma non lo fa per paura di aprire le danze ad un talk show metropolitano. Meglio evitare. La parola d’ordine è “produttività”. Bisogna essere produttivi, il Paese ha bisogno di me, le nuove generazioni hanno bisogno di me e della mia produttività.
Arriva a lavoro. Saluta i colleghi e domanda: “Berlusconi davvero rilancerà Forza Italia”? I colleghi lo guardano e annuiscono. Riflette… Il Cav. B. è riuscito a fermare il tempo della sua età e contemporaneamente è riuscito a comprimere lo spazio-tempo, politico e sociale del Paese. Merito suo o colpa nostra? Scuote la testa, sembra un brutto sogno. Corre in bagno, si guarda allo specchio e ripete ad alta voce: “ Sono passati vent’anni, tutto sembra cosi tremendamente uguale. Forse lo Stato Unico descritto da Zamjatin nel romanzo “Noi” esiste davvero. Sarà lui il benefattore, garante di una felicità matematicamente calcolata”. La stasi riflessiva viene interrotta da un colpo sulla porta. E’ il capo, inizia la riunione. Non c’è tempo per pensare ma tuttavia non smette di riflettere e tra una slide e l’altra ripete: “Perché mai sarà tornato”? L’unica risposta plausibile per il sig. X è il senso di responsabilità che il Cav B. ha verso lo Stato. A noi comuni numeri mortali hanno insegnato che gli anziani saggi danno l’esempio e dunque chi meglio di lui… E’sera. Il Sig. X torna a casa.
Passo veloce, testa chinata, cuffie in testa, borsa in mano e via giù per le scale della metropolitana. Si guarda intorno. Volti affranti, occhi persi nel vuoto, si domanda: avranno saputo della notizia? E’ tornata Forza Italia, tutto volgerà per il meglio, il benefattore ci salverà. A bassa voce sussurra. Il tempo non ci riguarda, non dobbiamo riflettere su queste situazioni. Lui ci salverà ne sono sicuro – ripete a mente – ascoltando gli ultimi trenta secondi di disorder dei Joy Division.
Ultimi venti passi. Il cuore sale su fino in gola vuoi per la corsa vuoi per la gran gioia di rientrare a casa, unico nido sociale in grado di generare protezione in questo scadimento culturale e politico della nostra società. La porta si apre, un brivido sulla pelle corre sin giù ai piedi e poi il buio. All’improvviso si sente scuotere, apre gli occhi. Giusto il tempo di mettere a fuoco occhi e mente e pensare che.. era tutto un brutto sogno!
Marco Franco
21 settembre 2013