Genova: crollano i ponti con l’Italia delle coscienze

Oggi, a distanza di cinquantuno anni, il moncone del ponte “Polcevera” pencola paurosamente a pochi metri dalle case sottostanti a raccontarci l’incubo di tante vite spezzate.
Riccardo Morandi si starà rivoltando nella tomba. L’ingegnere che nel 1967 vide l’inaugurazione della sua opera a quel tempo considerata avveniristica, vedrà turbato il suo sonno eterno da qualche inquietante dubbio se quel suo “calcestruzzo pre-compresso” che rivestiva i cavi metallici del ponte sia stata un’idea realmente felice.
Mezzo secolo fa su quel ponte passavano le indimenticate “Topolino” della Fiat, lungi dal prevedere che col passare dei lustri sarebbero comparsi i Tir da 100 tonnellate legati ai pericolosi episodi del recente periodo. Nato quindi per un traffico molto inferiore all’odierno, il ponte era come un vecchio costretto a portare sulle spalle un peso di gran lunga superiore alle sue forze.
L’Italia intera sta vivendo con sgomento questa dolorosa pagina della sua storia. Ma ogni persona di buon senso, soltanto guardando in alto, sotto il troncone rimasto del viadotto, non può fare a meno di mettere in discussione il criterio quantomeno azzardato di far passare il ponte immediatamente sopra le abitazioni, essendo il nostro un Paese a forte rischio sismico. Queste case, ora completamente evacuate, erano le case dei ferrovieri, case popolari di gente semplice, poi riscattate e divenute di proprietà. Ora a quelle persone non restano che gli occhi per piangere i loro morti.
I deboli non hanno voce
Sembra opportuno sottolineare che, al momento della costruzione del Ponte Morandi, la trattativa intercorse esclusivamente tra Autostrade e Ferrovie, escludendo la rappresentanza dei ferrovieri abitanti in quelle case, probabilmente non protetti a quel tempo da alcun sindacato.
Il Governo è fortemente deciso a revocare la concessione alla Società Autostrade, presunta responsabile del disastro per mancata, o inadeguata, manutenzione del ponte Morandi. “Atlantia” è la holding quotata in Borsa che detiene al 100% l’azionariato di Autostrade oltre a Benetton. E pare che gli utili ricavati da Autostrade, anziché essere spesi per le dovute e regolari manutenzioni, venissero divisi tra gli stessi azionisti, tra i quali numerose società straniere per lo più cinesi.
Benetton, da parte sua, tace nel più profondo e sistematico silenzio. La famiglia, more solito, ama tenersi in ombra. Ora, in questo frangente più che mai, non ama sbilanciarsi per quel principio dell’ “excusatio non petita accusatio manifesta”.
Se il Governo dovesse procedere alla revoca di cui sopra, i tempi sarebbero assai lunghi e farraginosi. Alcuni analisti prevedono molto realisticamente che la rescissione non avverrà. Si tratta di miliardi in gioco, non di bruscolini. E la società Autostrade, concedendo e nicchiando, con dichiarazioni per lo più sibilline, lascia supporre che saprà bellamente cavarsela per il rotto della cuffia.
Se “Genova la Superba” nutre tutta la volontà di combattere per il suo futuro lo dovrà ai più giovani e forti. I vecchi se ne andranno piano piano, contenti di recuperare di soppiatto qualche cosuccia dalle loro case prima che vengano rimossi i blocchi di quel cemento super armato che ha sotterrato tutti i loro ricordi.
Angela Grazia Arcuri