La politica a modo nostro: dagli abbracci alle sberle, in attesa di Godot

Con buona probabilità, ciò che si scrive oggi sarà già domani obsoleto, complice l’accavallarsi delle notizie circa la formazione di un “esecutivo”, sia la fallace memoria degli italiani che avranno rintanato nel dimenticatoio le ondivaghe posizioni dei nostri eroi. Di reale sembra essere soltanto quel fantomatico personaggio del teatro beckettiano dell’assurdo.
Verrà o non verrà? Governo sì, governo no?
Nell’attesa e nel vano tentativo di cambiare la situazione, cincischiando su futili conversari per proseguire sul terreno della metafora, si sta perdendo di vista il fine ultimo di quella pur nobile tenzone politica consistente nel perseguimento del bene nazionale e dei suoi cittadini.
Si vede arduo il compito del sobrio Presidente Mattarella, che dovrebbe alzare la voce per trovare la soluzione più incruenta alla crisi, trasformata in una vera pochade. Sganassoni e parolacce, veti incrociati, tatticismi oscuri al comprendonio popolare, denotano non solo l’ incapacità di dominare se stessi e una conseguente inaffidabilità politica, ma senza dubbio una buona dose di stress che spesso fa uscire di testa.

Il Matteo leghista, da parte sua, ha saputo mantenere un tono equilibrato, ma ha dovuto ingoiare qualche rospo. Per un giovane ribelle come lui, non è stato facile sottostare agli imperativi di chi si è divertito, per riaffermare la sua autorevolezza politica, a conteggiare le parole dell’ alunno – pallottoliere alla mano – come farebbe un maestro accanto alla lavagna nel corso di un’interrogazione.
Salvini, che ha dimostrato di possedere una capacità politica non di primo pelo, indispettito da tale atteggiamento paternalistico, ha poi fatto seguito all’accaduto, partendo lancia in resta e dichiarando una sua precisa volontà di autonomia. Siamo uomini o caporali? Il figlio del Carroccio – occorre dirlo – è fin troppo cambiato rispetto alla sua vecchia maniera un po’ supponente. Disposto alle aperture, sbottonata la camicia strizzacollo, salta i muretti da ragazzaccio come quello della pubblicità dell’olio salvacuore, avendo compreso, forse a scuola di comunicazione, che oggi bisogna accostarsi alla gente come “uno di loro”.
Per inciso, giunge al momento notizia che Berlusconi, forse “obtorto collo”, ha già perdonato l’alunno ribelle. O si tratta piuttosto di espedienti per tenere la gente incollata alla politica e frutto di telefonate segrete, come quelle che – lecito chiedersi – correranno anche tra Salvini e Di Maio. Tutti nemici e tutti amici, “ogni viltà convien che qui sia morta”.
Il Di Maio, impeccabile nelle sue “mise” blu, camicia candida e cravatta coordinata, mantiene il suo “aplomb”. Lui appare l’ ” uomo tranquillo”, avaro di parole e di ammiccamenti davanti alle telecamere, colui che non si concede, procedendo circondato da guardie del corpo. Ma va a sapere cosa c’è dentro quel cuore avellinese. C’è il sud Italia, quella che aspira al cambiamento ispirato dai Casaleggio del nord, lo stesso motivo di rottura dei vecchi schemi di governo che, in certo modo, lo uniscono idealmente a Salvini. Un Luigi Di Maio che, col suo contratto alla tedesca e il sistema operativo alla francese ( ambiziosamente chiamato “piattaforma Rousseau”) ha saputo attirare i voti di quanti, di ogni età anagrafica, si sono sentiti traditi dal Pd , offrendo peraltro una speranza di riscatto a quei suoi giovani elettori del profondo sud che versano in seria crisi occupazionale.
Quando si vota per “simpatia”
Se, da parte nostra, dovessimo votare per “simpatia” e gradevolezza, non esiteremmo ad escludere quei pochi che ci stanno cordialmente antipatici, al di là di ogni appartenenza partitica. Ma sarebbe una strada insensata da percorrere. Salvini e Di Maio ? Belli, bravi e simpatici. Infatti l’Italia li ha votati. Chissà se nel futuro assai prossimo gli eventi nazionali non li vedranno insieme? Si allenino i disegnatori di vignette umoristiche.
Anche l’ex Cavaliere “senza macchia e senza paura”- occorre dargliene atto – sa essere simpaticissimo e suscitare qualche risata. E Renzi, defilatosi per qualche tempo nel suo “buen retiro” dopo la sconfitta del Pd, pare aver messo fine al periodo di riflessione, riaffacciandosi alla ribalta in sella alla sua discussa bicicletta, le cui ruote parlano di svariate centinaia di euro. Simpatico? In qualche modo sì, ricordando i suoi exploit autoreferenziali ai tempi d’oro della Merkel, quando lei aspettava il giovane Presidente del Consiglio italiano, ansiosa al pari di una teen-ager al primo flirt. Lui la faceva divertire tanto e noi con lei, non risparmiandoci qualche critica fin troppo pepata al Matteo fiorentino su quel “cerchio magico” che tuttora resta la sua spina nel fianco.
Il diavolo e l’acqua santa
Sta di fatto che, secondo le ultime battute, si vocifera con insistenza l’aggancio di Di Maio al Pd. Il che potrebbe allontanare il Salvini – pur disposto alle aperture ma per definizione allergico alla sinistra. Non solo, la stessa sinistra ha manifestato reazioni piuttosto polemiche vedendo l’approccio come il matrimonio tra il diavolo e l’acqua santa, laddove resta da vedere chi sia il diavolo e chi l’acqua santa.
Tra il dire e il fare c’è di mezzo un mare abbastanza puteolente. Il ritorno al voto sembra una presa in giro degli italiani, stufi e arcistufi della soap-opera politica e più che mai propensi all’astensione dalle urne. Procedere adesso alla formazione di un governo di scopo, ci rammenta il governo tecnico 2011 di Mario Monti, il quale, sotto il diktat europeo, ci condusse a ristrettezze economiche tali da far piangere la Fornero davanti alle telecamere e a noi “lacrime di sangue”. E sono trascorsi ben sette anni.
Bando a dietrologie, lievitate peraltro in diverso contesto temporale ma che hanno lasciato il loro peso, ecco la fata Smemorina, mascotte degli italiani, che ci aiuta a dimenticare. Ma la situazione odierna così ingarbugliata appare ragionevolmente frutto delle insofferenze sociali stratificatesi nel corso degli anni proprio a seguito di dissennate scelte politiche.
Aspettando ulteriori eventi che ci vedranno spettatori dei più improbabili connubi, restiamo incollati sotto l’albero di Beckett, sempre in attesa di quel Godot che invia di continuo i suoi messaggeri “con tante scuse” per rimandare la sua venuta al giorno dopo e restarsene “in Aventino”. Ed anche noi “hic manebimus optime”, ma non tanto…
Angela Grazia Arcuri