Il coltan sotto l’albero di Natale

Il coltan è una miscela di minerali (columbite e tantalite abbreviato in col-tan) che, detta così, non ha un particolare significato pratico per noi, soprattutto se ignoriamo che si estrae anche in Africa congolese in Uganda ed in Rwanda e che ha un alto valore commerciale per computer, cellulari ed elettronica in generale. Come spesso accade, un paese povero che ha la sfortuna di possedere una materia prima di elevato interesse commerciale nel mondo intero si auto-condanna alla guerra e per molti lettori, sicuramente, la storia del coltan in Africa è già stata sentita. Quanti, tuttavia, lo ricordano mentre tengono in mano un cellulare o mentre desiderano l’ultimo indispensabile modello? Adesso che siamo nelle vicinanze della festa più commerciale e deprimente dell’anno, forse vale la pena di riportare alla memoria le conseguenze delle nostre più consolidate abitudini. Proprio quella delle abitudini è una delle più grandi difficoltà che trovo nel vivere quotidiano, nella esatta nonché sfibrante consapevolezza delle conseguenze delle mie scelte e delle mie responsabilità che sono certamente grandi ma anche per molti aspetti vissute inconsapevolmente. Tempo fa ho scoperto, e con sorpresa, in quanto non ne avevo mai avuto la percezione, che uno degli oggetti di più largo consumo, i jeans, sono tra i maggiori produttori di inquinamento a livello mondiale, non solo per i trattamenti tessili ma, anche, perché in un mondo globalizzato le varie parti (cotone, cerniere, borchiette di rame, filo da cucitura, tinta ecc.) vengono prodotte in luoghi lontani fra loro, dove la manodopera è a buon mercato, cosicché si calcola che, quando gli jeans arrivano in negozio, tale capo di abbigliamento ha più volte fatto il giro del mondo, consumando petrolio e rilasciando biossido di carbonio e non solo. Viviamo in una società che è riuscita a trasformare una antica risorsa, la lana, in un rifiuto speciale perché, se non viene acquistata, deve essere smaltita correttamente e con grosse spese per l’allevatore. Come dire: il danno e la beffa per la perdita del proprio lavoro e del giusto guadagno, con l’aggiunta di denaro per smaltire o meglio per distruggere. Che dire, poi, della gioia che accompagna donare o ricevere un bellissimo mazzo di rose, un gesto romantico riservato agli innamorati di tutte le età? Come forse qualcuno avrà intuito pure in questo caso c’è il drammatico rovescio della medaglia. La maggior parte delle rose che circolano in Italia, infatti, provengono dall’Africa passando dall’Olanda (aerei e petrolio). I risvolti negativi, abilmente nascosti, riguardano i pesanti effetti sulla salute dei lavoratori (anche sottopagati), il rilascio di pesticidi e quant’altro nei terreni, l’ingente consumo di acqua, la desertificazione, le difficoltà alimentari e di approvvigionamento idrico per le popolazioni circostanti. Non è bello, da parte nostra, regalare mazzi di spine agli africani, nascondendoci dietro alla spudorata menzogna del lavoro che portiamo a popoli disagiati. Portiamo deserto, carestie e malattie. Spesso mi chiedo quante altre consuetudini siano per me abituali, apparentemente innocue perché prive di informazioni. Se, da una parte, mi ritengo innocente, dall’altra, i sentimenti di frustrazione ed impotenza si accompagnano ad un sordo sentimento di ribellione, la maggior parte delle volte inefficace e solitario. Rabbia nei confronti di Padroni del Mondo che ci costringono subdolamente a desiderare sempre di più e sempre più compulsivamente, mentre le conseguenti reazioni ai nostri “innocenti” acquisti si minimizzano e si evitano, annullandosi nel vuoto.
Ora le vetrine dei negozi Hi-Tech luccicano prepotentemente, trasportandoci di colpo nell’atmosfera del nostro Natale che profuma di infanzia gioiosa. Pur accettando il fatto che, al giorno d’oggi, si è necessariamente obbligati ad utilizzare cellulari e computer, vedo, dietro il cristallo della vetrina, un lago di sangue, sofferenza, mitragliatori, massacri, corruzione politica e schiavitù. Il mio coinvolgimento etico si fa sempre più presente e, a ben guardare, impotente.
Spesso mi chiedo il perché di tutto questo e mi ritrovo addosso tutti gli ossessivi sintomi di quella malattia che è la “dietrologia”. Possiedo un cellulare da due lire che non fa foto e che ha qualche tasto che funziona male ed un computer non proprio di ultima generazione che non mi decido a cambiare. Quando essi mi lasceranno definitivamente sarà gioco forza acquistare, ma fino ad allora mi accontento, cercando di diminuire il numero delle vittime delle mie esigenze indotte e mio malgrado rese obbligatorie. Se non hai il cellulare o il computer non sei nessuno, non puoi lavorare e non sei al passo della modernità.
Un Buon Natale di Consapevolezza a tutti i miei lettori.
Amigurumi
1 dicembre 2014