Frutta e verdura ma di quale stagione?
Sembra un argomento banale mentre al contrario coinvolge la nostra salute, la produzione di gas serra e l’inquinamento del pianeta. Ma cominciamo con ordine: la nostra salute. Soltanto 50 anni fa, nessun medico avrebbe avuto la necessità di raccomandare il consumo di prodotti di stagione perché al massimo esistevano “le primizie” cioè i primi precoci prodotti ortofrutticoli, allora guardati con sospetto. Cosicché da tempo immemore, la stagione in corso, relativa alla fascia climatica in cui l’essere vivente, umano o animale ma sopratutto vegetale era adattato, forniva all’ uomo principi nutritivi specifici di quella terra e di quel periodo dell’anno. Di conseguenza l’evoluzione di animali e piante è stata per migliaia di anni indissolubilmente e armoniosamente legata perché camminavano di pari passo. L’organismo animale si è così “regolato” e adattato al cibo presente in quel momento ed ha imparato a farne uso tanto ché la stagione calda abbonda di frutta coloratissima ricca di vitamine e sali minerali e di una grande varietà di verdure necessarie a disintossicarci dall’inverno e a reintegrare sali minerali perduti con la sudorazione. Parliamo di prodotti ortofrutticoli coltivati in campi all’aperto, maturati sulla pianta senza forzature chimiche di alcun genere; a questo proposito vorrei sottolineare che i primi pomodori del mio orto, rispettosi del ritmo naturale, maturano i primi di agosto per continuare al massimo fino ad ottobre e che nella mia infanzia il regalo dell’anguria durava poco più di un mese sempre quello di agosto. Oggi possiamo acquistare pomodoro fresco tutto l’anno e gustare (si fa per dire) anguria a Natale e spesso con relativi problemi di digestione. Sarà perché a Natale non ci sono necessari pomodori freschi e anguria? La mia riflessione è sempre la stessa: ma se per crescere e maturare una pianta ha necessità di caldo e sole, perché mi dovrebbe essere abitualmente necessaria per tutto l’inverno? Sembra piuttosto una forzatura dei ritmi naturali e dei tempi del nostro organismo, oggi malinconicamente dimenticati. Questi comportamenti si sono così subdolamente infiltrati nelle nostre abitudini alimentari che non ne avvertiamo più l’assurdità e le conseguenze. Spesso e con orgoglio ho pensato di appartenere al club dei ribelli silenziosi, ma in qualche occasione ho provato l’impulso di acquistare la papaya assaggiata in casa di amici ed ho scoperto con profonda delusione di seguire con il gregge e la mente vuota, il pifferaio magico di turno che mi attirava con la sua musica. Ovviamente non voglio dire che il consumo sporadico ed occasionale di un qualche prodotto importato o fuori stagione possa provocare gravi danni ma la pessima abitudine giornaliera si. In conclusione, alimentarsi fuori stagione fa male alla salute, non solo perché in quel momento non utile ma anche perché quell’alimento invitante e accattivante è cresciuto in serra riscaldata e molto “aiutato” chimicamente a crescere, chimica che nonostante alcune assicurazioni in proposito, mi permetto di sospettare permanga abbondantemente nell’a’limento, bello anche se non buono e sano. Per i prodotti di importazione il discorso è ancora più allarmante perché anche ammesso che sia coltivato correttamente deve essere raccolto, incassettato, trasportato prima via terra poi via aereo e distribuito; quindi poiché sarebbe soggetto a deterioramento sui banchi di un supermercato dove staziona a lungo, viene irrorato quantomeno di insetticidi, antifungini ed antifermentativi per evitare marcescenze ed attacchi di insetti.. Mi riesce difficile augurare a chicchessia buon appetito. L’acquisto del fuori stagione ci grava inoltre della enorme responsabilità individuale nella produzione di gas serra con il consumo di carburante per il riscaldamento delle serre stesse, il consumo di carburante per trasporto aereo e navale di prodotti che arrivano dall’altra parte del mondo, il consumo di carburante per la realizzazione dei prodotti chimici necessari alle produzioni vegetali e le sue conservazioni e il conseguente inquinamento del suolo e delle acque con residui di pesticidi e concimi chimici, con una reazione a catena. Mi si dovrebbe spiegare perché nel mediterraneo, terra generosa, debbo consumare quinoa andina, un non cereale ricco di amido e proteine nonché privo di glutine, carissimo e cattivo perché non lo so cucinare, perché il suo gusto non mi è abituale e perché troppo ricco di saponine. Una perfetta aliena per la mia terra, il mio palato ed il mio organismo; certamente se fossi sulle Ande mi sarebbe molto utile in quella terra avara ma qui, per me, con abbondanza di farro, orzo, grano e riso è, al minimo, inutile. Ma cosa è buono per la mia salute? Ciò che viene da lontano, carissimo, inquinante e spinto mediaticamente? A mio parere no ed io non voglio alimentarmi della “moda quinoa” perché qui non mi è necessaria. Ricordatevi che anche il kamut, il noto grano del faraone, è un abbaglio in quanto è un normale ed antico grano ribattezzato con il nome di kamut, marchio registrato (e brevettato) perciò di proprietà esclusiva quando compare sotto il nome kamut e non di mio particolare gradimento. Preferisco la pasta di grano duro ai miti inquinanti ingannevoli consumistici superflui e di proprietà di multinazionali. Qui di seguito c’è un promemoria sulla stagionalità, necessariamente incompleto ma come al solito se usato con intelligenza, internet ci può aiutare. Un piccolo trucco; se non conosciamo la stagionalità regoliamoci sul prezzo che sarà elevato fuori stagione a causa del grande consumo energetico e se ci caschiamo ugualmente, il nostro palato ed il nostro apparato digerente ci daranno la risposta.
Primavera Estate: pomodoro melanzana peperone (solanacee) zucchino fagiolino e poi pesche albicocche fichi meloni anguria fragole ciliege
Autunno Inverno: broccolo broccoletto cavolo (brassicacee) bieta spinacio cicoria indivia scarola e poi arancia mandarino loti mele e pere (ma solo alcune varietà di queste ultime maturano in autunno inverno).
Amigurumi
01 ottobre 2014