Grandiosa scoperta del telescopio spaziale Herschel: nella nebulosa di Orione c’è ossigeno molecolare

di Roberto Mattei
E’ l’elemento che permette la vita sul nostro pianeta, presente in misura del 20% nell’atmosfera terrestre. Mai fino ad oggi erano state trovate molecole di questo gas nello spazio.
E’ destinata a diventare la più sensazionale scoperta spaziale di questo secolo. L’Agenzia Spaziale Europea (ESA) nell’ambito della missione “Herschel Space Observatory” (HSO), che ha come protagonista il più grande telescopio spaziale ad infrarossi mai realizzato, ha confermato la presenza di molecole di ossigeno nello spazio. Fin qui sembrerebbe non esserci nulla di strano; singoli atomi di ossigeno sono comuni nel cosmo, in particolare intorno a stelle massicce (corpi celesti molto caldi e luminosi denominati anche “stelle blu” per il loro colore tendente appunto verso il blu).
Nessuno però fino ad oggi aveva mai scoperto nello spazio ossigeno molecolare, vale a dire lo stesso gas che non respiriamo e che costituisce il 21% dell’atmosfera terrestre!
L’impresa è stata possibile grazie alla sofisticatissima strumentazione a bordo del telescopio Herschel, un insieme di telecamere e sensori, in grado di coprire tutte le lunghezze d’onda dell’infrarosso e sub-millimetriche:
- il PACS (Photodetecting Array Camera and Spectrometer), una fotocamera a bassa risoluzione in grado di coprire la banda compresa tra i 55-210 micrometri. Lo spettrofotometro presenta una risoluzione tra i 1000 e i 5000 nonché la capacità di ricevere segnali tra i 10 e i 18 W/m2 La fotocamera è in grado di riprendere immagini simultaneamente in due bande: 60-85/85-130 micrometri e 130-210 micrometri;
- lo SPIRE (Spectral and Photometric Imaging Receiver) una fotocamera con spettrofotometro, a bassa risoluzione, capace di coprire la banda tra 194 e 672 micrometri. Lo spettrometro ha una risoluzione tra 40 e 1000, a lunghezze d’onda di 250 micrometri ed è in grado di riprendere sorgenti puntiformi con luminosità di circa 100 millijansky nonché sorgenti estese con luminosità di circa 500 millijansky. La fotocamera ha tre bande spettrali, centrate a 250, 350 e 500 micrometri, rispettivamente con 139, 88 e 43 pixel. È in grado di riprendere sorgenti puntiformi con luminosità superiore a 2 millijansky e sorgenti estese con luminosità tra 4 e 9 millijansky;
- l’HIFI (Heterodyne Instrument for the Far Infrared), un sensore con risoluzione spettrale massima pari a 107 realizzato per operare all’interno di due bande: da 157 a 212 micrometri e da 240 a 625.
Herschel è inoltre dotato del più grande specchio posto in orbita sinora, circa una volta e mezza più esteso di quello del celebre telescopio spaziale Hubble. Una struttura che permette la visione di galassie neonate a milioni di anni luce! Il dr Paul Goldsmith, capo tecnologo astronomia, fisica e tecnologia dello spazio presso il Jet Propulsion Laboratory, agenzia della NASA con sede in Pasadena, California, ha evidenziato gli sforzi fatti dalla ricerca scientifica in questi anni con una frase che passerà alla storia e che un giorno troveremo sui libri di scuola: «L’ossigeno gassoso è stato scoperto nel 1770, ma ci sono voluti più di 230 anni per dire finalmente con certezza che questa molecola molto semplice esiste nello spazio».
Gli astronomi avevano cercato le molecole nello spazio per decenni e solo nel 2007 queste erano state individuate. Mancava tuttavia la tecnologia per confermare l’avvistamento, arrivata con la missione HSO. Fatta la scoperta sorge ora un nuovo quesito: da dove proviene l’ossigeno molecolare spaziale? Per Goldsmith e colleghi le molecole d’ossigeno sarebbero rinchiuse nell’acqua ghiacciata che ricopre i grani di polvere interstellare, piccole particelle della dimensione di una frazione di micron, di forma irregolare, costituite soprattutto da carbonio e silicati. Per capire questo interrogativo vale la pena spiegare alcuni concetti che ne sono il presupposto.
Secondo gli scienziati, la formazione della polvere interstellare sarebbe dovuta alla fusione nucleare delle stelle, mentre è confermato dalla missione HSO, che l’esplosione di una supernova è in grado di produrre quantità significative della stessa, su scale temporali molto brevi. Oltre a ricoprire un ruolo di primaria importanza nell’assorbimento e riflessione della luce, le polveri sembrano essere gli elementi da cui si formano le stelle, in quanto grazie alla loro bassa temperatura e alla scarsa energia, sotto l’effetto della gravitazione, tendono ad addensare sempre più, fino a quando l’energia gravitazionale si converte in calore al punto di raggiungere quelle soglie “critiche” di temperatura e densità che permettono all’idrogeno di fondersi in elio, dando vita, alla fine di questo processo, al nuovo corpo celeste.
Polvere siamo e polvere ritorneremo, così è per noi ma anche per le stelle, visto che queste nascono dai corpuscoli di polvere interstellare e muoiono rigenerandone di nuovi. Durante questo ciclo perpetuo, secondo Goldsmith, la luce stellare gioca un ruolo fondamentale; sotto l’effetto di questa, infatti l’involucro di ghiaccio che riveste i grani di polvere, rilascia acqua che viene poi convertita in molecole d’ossigeno. E’ quello che è accaduto, appunto, nella nebulosa di Orione. «La nostra teoria ipotizza dove potrebbe nascondersi l’ossigeno – ha affermato il noto tecnologo dell’agenzia JPL-NASA – tuttavia non abbiamo trovato una grande quantità d’acqua e di conseguenza resta ancora da capire cosa ci sia di tanto speciale laddove questa viene rinvenuta».
L’universo nasconde ancora molti segreti.