Continua il caso Stamina con la denuncia della rivista Nature
La rivista scientifica inglese Nature pubblica sul suo sito on line nella serata di martedi un nuovo articolo che ha di mira la Stamina Foundation di Davide Vannoni. Il che getta nuove ombre e perplessità su questa metodica sperimentale di cura di gravi malattie grazie alle cellule staminali. È dello scorso 23 maggio il decreto legge con cui il Parlamento aveva deciso di avviare la sperimentazione del “metodo Stamina” al costo di ben tre milioni di euro. Metodo che si fonda sull’utilizzo di cellule staminali, in particolare quelle mesenchimali da stroma osseo, e sulla diversità di dosaggi e somministrazioni delle cellule staminali in funzione del tipo di malattia e dello stato di salute del paziente. Le aspettative sono di intervenire in maniera fruttuosa su diverse patologie dal Parkinson, all’Alzheimer, fino a diverse patologie degenerative che colpiscono soprattutto i bambini. L’accusa lanciata da Nature alla Stamina Foundation è di aver presentato un brevetto copiato, non frutto di originali sperimentazioni da parte della stessa;insomma un’accusa di plagio. Le immagini presentate nel 2010 dal professor Vannoni all’ufficio americano brevetti sarebbero immagini rubate, copiate da uno studio del 2003 di un gruppo di ricercatori ucraini e russi della Kharkov National Medical University. Le immagini dimostrerebbero come da cellule staminali di midollo osseo possano derivare cellule nervose. Elena Schegelskaya, biologa molecolare che aveva collaborato alla ricerca pubblicata nel 2003, ha testimoniato alla rivista Nature come quelle immagini fossero frutto del loro lavoro e della loro sperimentazione. La risposta di Vannoni non si è fatta attendere. Egli ha dichiarato che si tratta del solito articolo politico che non rivela in realtà nulla di nuovo o di segreto. “Noi abbiamo sempre lavorato e condiviso materiale con i russi e gli ucraini, che ci hanno aiutato a perfezionare la metodica. Non c’è niente di trafugato e ho già detto in varie occasioni che il nucleo della metodica deriva dagli studi di due scienziati russi”. Queste le parole con cui Vannoni difende la sua causa sottolineando come nella bibliografia del brevetto presentato nel 2010 sia inserito l’articolo della stessa Elena Schegelskaya, loro collaboratrice russa, smentendo la notizia del plagio. Intanto per il primo luglio era prevista da parte dello stesso Vannoni la consegna del protocollo del “metodo Stamina” agli esperti dell’Istituto superiore di Sanità (Iss). Vannoni ha chiesto qualche altro giorno motivando il ritardo come dovuto ai “tempi tecnici necessari per la standardizzazione della metodica”.Il tutto sarà consegnato per lunedi 8 luglio. La priorità della consegna del protocollo è ciò che ha ribadito il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin mostrando come questa sia l’unica strada obbligata che la Stamina Foundation possa in questo momento seguire anche e soprattutto alla luce delle accuse gravi della Nature. Al ministro della Salute Vannoni risponde che qualora si voglia effettivamente seguire, come nelle intenzioni iniziali, la strada della decisione delle Camere di avviare la sperimentazione, è necessario fornire maggiori garanzie di obiettività della stessa. Quattro sono le richieste avanzate a garanzia dal presidente della Stamina, come si legge in un post pubblicato sul suo profilo Facebook: “1. La standardizzazione che stiamo facendo della metodica non venga in alcun modo modificata; 2. Spetti a Stamina la scelta delle tre patologie su cui fare la sperimentazione (suggeriamo Sla, paresi cerebrale infantile ed una malattia degenerativa non neurologica); 3. Venga individuato un solo laboratorio per la produzione cellulare in cui i nostri biologi possano controllare la produzione; 4. Vengano individuati al massimo due centri per le applicazioni cliniche e le valutazioni che siano in prossimità del centro di produzione; 5. Venga nominata una CRO (organismo di controllo internazionale super partes) che certifichi tutti i dati ottenuti e l’applicazione della buona pratica clinica”. Rimane una questione pur sempre controversa se si pensa che numerose sono le voci autorevoli in campo scientifico che si oppongono alla continuazione di queste sperimentazioni e che invitano il governo a bloccare quanto prima gli esperimenti. Si tratta di tre importanti studiosi italiani che da anni si occupano di cellule staminali e delle loro potenzialità: Paolo Bianco dell’Università La Sapienza di Roma, il quale sostiene che il governo dovrebbe abbandonare questa pratica, in quanto si tratta di “una pratica che, invece di essere sperimentata a spese dei contribuenti, dovrebbe essere semplicemente perseguita legalmente e bandita immediatamente da tutti gli ospedali pubblici del Servizio Sanitario Nazionale in modo fermo, inequivocabile e irreversibile”; Elena Cattaneo dell’Università degli Studi di Milano e Michele De Luca, direttore del Centro di Medicina Rigenerativa ‘Stefano Ferrari’ dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Quest’ultimo pone l’accento sui rischi connessi con la “metodica Stamina”, rischi già paventati dall’ufficio americano per i brevetti all’epoca della consegna della domanda che fu, per l’appunto, rigettata. Da questo rifiuto dell’ufficio brevetti prende vigore la rivista Nature, che rappresenta la comunità scientifica internazionale, di fronte ad un metodo che nella concretezza non ha ricevuto sostanziali riscontri scientifici. Sulle cellule staminali il dibattito rimane forte e l’attenzione alta, indipendentemente dal caso di specie. Il rischio che ogni sperimentazione deve evitare, proprio perché tale, è quello di creare false speranze e di diffondere false credenze di guarigioni miracolose tra le persone malate. Certo è che la ricerca scientifica può allargare i suoi orizzonti e ottenere risultati impressionanti laddove sia giustamente incentivata e valorizzata.
Raffaella Antonini
4 luglio 2013