La globalizzazione è finita: il nuovo mondo e l’economia vista da Rana Foroohar

Nuove parole, una nuova concezione del mondo. I passaggi linguistici rappresentano segnali significativi del definirsi di nuovi paradigmi concettuali o forme simboliche, nuovi sistemi di significato attraverso cui interpretare, organizzare e strutturare l’esperienza del mondo.
L’affermarsi, in modo sempre più capillare di terminologie come nearhoring, friendshoring o decoupling è in tal senso il sintomo di un nuovo passaggio, un interregno verso una fase, ancora in definizione, in cui i processi storici della globalizzazione appaiono rallentare e, in per alcuni aspetti specifici, cambiare la loro natura in modo strutturale.
La sicurezza delle reti di approvvigionamento, la necessità di controllare le filiere della produzione, la capacità di autonomia strategica, divengono di fatto i nuovi elementi dominanti del dibattito pubblico, specchio moltiplicatore di analisi specialistiche anticipatorie realizzate nei settori tecnici, da quello accademico a quello militare-industriale.
La globalizzazione sembra cedere il passo, arrancare sotto i colpi di imposizioni tariffarie crescenti, strutturazione di nuovi confini per limitare i flussi migratori e la ridefinizione delle supply chain internazionali.
Il nuovo mondo
La prospettiva di una processo di de-globalizzazione segue parallelamente il definirsi di un nuovo strumentario linguistico-semantico in grado di mettere in discussione e criticizzare i punti saldi di una concezione classica neo-liberista. Siamo di fatti entrati in uno nuovo paradigma cognitivo con le sue forme simboliche peculiari?
Per la giornalista ed esperta economica del Financial Times, Rana Foroohar, la globalizzazione così come la conoscevamo nella sua ultima fase storica è da considerarsi conclusa. Non è più il momento dell’efficienza dei processi produttivi ma della loro capacità di essere resistenti a minacce esterne, siano queste frutto dell’azione di attori terzi ostili, cigni neri o frutto delle dinamiche del cambiamento climatico in atto.
La crisi del 2008, la pandemia e il conflitto in Ucraina hanno messo in luce le debolezze di un sistema fatto di interconnessione e dipendenze globali. La sicurezza strategica delle comunità, la necessità di assicurare le risorse per la produzione e il benessere della popolazione, la garanzia di catene del valore salde, sono divenuti pain point fondamentali e ormai imprescindibili per guidare le azioni delle attuali classi dirigenti politiche ed imprenditoriali.
Quale possibile modello?
Nel suo testo, la globalizzazione è finita, edito da Fazi, Rana Foroohar, evidenzia come la delocalizzazione abbia eroso interi settori produttivi nazionali, ha aumentato le disuguaglianze e ha svuotato di senso la democrazia economica, favorendo la concentrazione della ricchezza e del potere decisionale nelle mani di poche élite transnazionali.
A questo modello oppone una nuova visione del futuro, fondata sulla rilocalizzazione delle attività economiche, sul rafforzamento delle comunità territoriali e sulla resilienza dei sistemi produttivi locali. In particolare, per Foroohar le attuali tecnologie possono permettere un processo di de-centralizzazione in grado di rendere le catene del valore più brevi, riportando lavoro e benessere per le comunità.
Dalle nuove forme di agricoltura in grado di risparmiare il consumo di suolo, alle stampanti 3D per limitare il trasporto di materiali e semilavorati, fino all’implementazione di reti condivise mediante la tecnologia blockchain, le innovazioni tecnologiche in via di sviluppo e già disponibili, forniscono possibili soluzioni per evitare la concentrazione del potere in poche mani e consentire un modello di sviluppo più equilibrato, sostenibile e sicuro.
Alle soglie del definirsi di nuovo paradigma post neo-liberista, le scelte politiche ed economiche del prossimo decennio segneranno in modo determinante in quale mondo potremmo vivere nel prossimo futuro.