Perché scrivere? Il posto al mondo, di Ippolito Pizzetti
"Siano pure scritte sull'acqua le mie parole, cosa conta, se questo è l'unico mezzo, se questa è l'unica apertura verso il Cosmo"
“La mia indifferenza, la mia nessuna fretta, la mia reticenza a pubblicare non sono il frutto di una mia umiltà o trepidanza nei confronti del mio posto nel mondo; potranno esserlo, parzialmente, come per chiunque; ma sono prima di tutto l’espressione della nessuna importanza che hanno questi traguardi di fronte al mio scrivere come modo di essere. Per il medesimo motivo, perché non è un fine, ma una funzione necessaria…”
Muovendosi tra il giardino, l’origine cittadina milanese e un modo di accesso al mondo, Ippolito Pizzetti scrive Il mio posto al mondo. Un testo che ha preso forma tra il 1981 e il 1982, per essere pubblicato per la prima volta dalla Fondazione Benetton Studi e Ricerche prima nel 2007 e poi, successivamente, nel 2011. Una storia, una narrazione che evidenzia la realtà. Come riconoscere un artista? Ma soprattutto per quale motivo si scrive?
Il mio posto al mondo porta alla luce ciò che un lettore non vede, ciò che si cela dietro le semplici parole di un intellettuale come Ippolito Pizzetti, che prima di essere uno scrittore è un semplice uomo e che, come tutti, cerca quell’apertura nel Cosmo che lo faccia sentire vivo. Uno scritto che gira intorno all’importanza dello scrivere, un valore che va ben oltre il semplice voler essere un poeta, ma che diviene funzione del suo sussistere. Con queste parole si entra nella visione di Pizzetti, che fa navigare il lettore dal mondo cittadino a quello della campagna, realtà che hanno contribuito in maniera cospicua alla sua formazione; alla sua stessa considerazione dello scrivere. D’altronde sono le stesse piante ad essere oggetto delle sue analisi, che per essere descritte devono essere impregnate di esperienza umana e non solo di sapere scientifico. Le influenze dell’ambiente circostante sono di valore inestimabile, di quei giardini che gli offrivano un accesso al mondo, quell’accesso che avrebbe dovuto colmare il vuoto che persiste nell’intellettuale. Un vuoto comune forse, proprio anche di donne come Andreola, Angelica e Rossetta che sono state fondamentali nella formazione dello stesso Ippolito, che non hanno mai fatto emergere vuoti nelle loro vite, piuttosto sempre densità.
Perché scrivere? Le motivazioni possono essere molteplici, come anche le stesse persone amate e il loro contributo per colmare i vari spazi privi di consistenza. Ippolito Pizzetti, però, mette in luce le penombre, lo scrivere doveva essere una cosa propria, che non seguisse la vena artistica del padre musicista, che si distaccasse da quella realtà familiare e che gli offrisse un proprio estro. Poche pagine per descrivere quelle sensazioni proprie dell’uomo, quelle emozioni che non sempre emergono dalle performance di intellettuali e artisti. Quei vuoti e influenze degli spazi che hanno la più grande rilevanza per la formazione dell’identità; un’identità che per Pizzetti risiede nel logos. Non sempre la serenità che si emana è reale, non sempre lo scrivere comporta saggezza. Il mio posto al mondo ha come fine quello di rendere evidente quanto tali impressioni possano essere solo apparenti. Parvenze fittizie, che fungono da maschera, ponendo dietro le quinte quei vuoti e quella ricerca d’identità costante in ognuno di noi.