Come parlare di fatti che non sono mai avvenuti
Dopo aver raccontato posti mai davvero visitati e dopo aver parlato di libri in verità mai letti, lo scrittore francese Pierre Bayard si conferma acuto conoscitore della società contemporanea in un libro edito in Italia da Treccani.
Come parlare di fatti che non sono mai avvenuti? Una domanda a cui lo psicanalista francese Pierre Bayard ha provato a dare risposta con un libro omonimo, il quale, già nell’intestazione, tradisce sicumera per aver trovato adeguate risposte.
È uno stile caustico quello di Bayard, noto già ai più per altri lavori di identico approccio e medesima impostazione, quella di rottura nei confronti di ogni status quo.
Era accaduto altre volte infatti che lo scrittore francese compilasse manuali per parlare di libri che non sono mai stati letti, oppure dei memorandum per ricordare luoghi in cui in verità non si è stati mai (titolo originale Comment parler des lieux où l’on n’a pas été?).
A Treccani Libri il gran merito di editare questo nuovo saggio, sì di facile lettura ma non per questo sbrigativo al momento di squadernare le sue tesi. Anzi.
«Ogni scrittore — scrive Bayard — con il suo lavoro dovrebbe cercare di alleggerire la sofferenza della condizione umana. E la finalità di questo libro è esattamente questa: discolpando i raccontastorie, ormai sempre più oggetto di persecuzioni, e difendendo il loro diritto inalienabile a raccontare favole, vorrebbe contribuire a rendere un po’ più vivibile il mondo ostile in cui ci troviamo».
E per venire incontro a chi oggi potremmo definire un narratore di post-verità, Bayard riprende una serie di aneddoti storici che distinguano differenti tipi di verità (verità soggettiva, verità letteraria, verità storica, verità scientifica). Ogni esempio si struttura in tesi, antitesi e sintesi a partire da fatti emblematici realmente avvenuti e che hanno influenzato il contesto sociale a partire da premesse poi svelatesi false.
Come nel caso della teoria della sublimazione elaborata da Freud in relazione alla sessualità di Leonardo, le cui premesse verranno poi smentite dalla letteratura di settore.
In quel caso Freud era convinto che il genio fiorentino fosse animato da un fuoco creatore in realtà derivante dalla sua totale assenza di libido. Ma dopo aver smascherato le errate premesse su cui si basavano le teorie freudiane, Bayard arriva a sostenere: «Quello che va compreso è se dobbiamo concludere semplicemente che l’esempio a supporto della teoria freudiana fosse inappropriato, oppure che quella teoria si è formata proprio perché l’esempio era inappropriato».
E a ben vedere è proprio questo il nocciolo dell’intero libro, quello che lo stesso autore definisce come fecondità dei falsi.
La verità soggettiva, come ogni altra forma di narrazione, è una verità arbitraria, costruita dalla preselezione da parte del narratore di quei fatti che intenderà raccontare in seguito. Ed ogni verità genera per effetto domino altri fatti, che per Bayard non è sufficiente screditare, perché sarebbe come togliere ad un castello le sue fondamenta pensando di poterlo comunque sostenere, in aria.
Provocatorie che siano le tesi di Bayard, il suo punto di vista resta cruciale per interpretare i fatti nell’era della post-ideologia. Perché se l’essere umano è un essere del racconto e la società in cui viviamo un continuo laboratorio per la produzione di storytelling, la vera partita si gioca sul campo del fact checking, non sulla castrazione delle fantasie. Ed è forse anche questa la linea che passa tra essere carnefice o ribelle.