M5S occhio, fare la gara al più puro è pericoloso

Sembrano non placarsi le polemiche nate sul caso delle mancate restituzioni di parte degli stipendi da parte di alcuni parlamentari del M5S. Domenica 11 febbraio il programma televisivo Le Iene ha mandato in onda un servizio in cui un esponente del movimento, che preferisce restare nell’anonimato, denuncia dei mancati versamenti sul fondo per il sostegno al microcredito, ovvero per il sostegno delle piccole e medie imprese. I parlamentari del M5S sono soggetti all’impegno del versamento della metà del loro stipendio proprio su questo fondo ed il tutto avviene tramite un bonifico, mentre sul sito www.tirendiconto.it ogni parlamentare pubblica il proprio rendiconto personale, unito alle copie dei bonifici effettuati. Ma come descritto dalla fonte anonima nel servizio delle Iene, il denaro versato è di molto inferiore rispetto alla somma dei bonifici, questo perché i bonifici stessi sarebbero falsi in quanto i protagonisti di questa vicenda, sempre secondo la stessa fonte, prima dispongono il bonifico, pubblicano il rendiconto e per finire annullano lo stesso bonifico entro 24 ore. La fonte non nota fa i nomi di Andrea Cecconi, capogruppo alla camera e candidato capolista nelle Marche, per un totale di circa 21.000 euro, e di Carlo Martelli, anch’esso candidato capolista ma in Piemonte, per un totale di circa 76000 euro. Il testimone però aggiunge che questa prassi viene eseguita da molti e nel corso della trasmissione sono saltati fuori anche i nomi di Barbara Lezzi e Maurizio Buccarella.
Sulla vicenda è arrivato il commento del segretario del PD Matteo Renzi, il quale, nella trasmissione Otto e Mezzo, condotta da Lilli Gruber, attacca il M5S: “Quello che sta accadendo tra i cinquestelle è impressionante, si sono trasformarti in un’arca di Noè che sta imbarcando truffatori, scrocconi, riciclati e massoni”. Non si è fatta attendere la replica di Luigi di Maio, il quale dal suo profilo Facebook replica: “Alcuni portavoce hanno violato le nostre regole e non hanno donato tutto quello che avrebbero dovuto. Un tradimento dei nostri principi e della fiducia dei nostri iscritti. Per questo saranno cacciati dal MoVimento e si sono impegnati a rinunciare all’elezione. […] Chi pensa di farci la morale abbia la dignità di starsene zitto e andarsi a nascondere. Renzi, che non conosce la Storia italiana, ci ha paragonato a Craxi e al mariuolo Chiesa. Mario Chiesa venne colto in flagrante mentre accettava una tangente di sette milioni di lire, in seguito vennero scoperti suoi conti in Svizzera di miliardi di lire. Chiesa non era uno che restituiva poco, era uno che si fotteva tanto. Non mi stupisce che Renzi non comprenda la differenza. I suoi parlamentari non hanno restituito un centesimo. Si sono intascati milioni e milioni di euro a sbafo. Tutti i soldi che noi abbiamo messo lì dentro permettendo la creazione di oltre 7.000 imprese, loro se li sono messi in tasca. […] Hanno arraffato il più possibile. L’unica cosa che Renzi ha restituito agli italiani è il traditore della Patria Silvio Berlusconi. Renzi come livello di promesse mancate è ben al di sotto delle nostre mele marce: aveva detto che se perdeva il referendum che aboliva il Senato si sarebbe ritirato dalla vita politica e oggi è candidato al Senato. È partito da rottamatore e si è ridotto a macchietta della politica. Da Renzi a Razzi il passo è breve”.
La replica del candidato premier del M5S, se da una parte ha delle valide ragioni, dall’altra fa venir fuori delle forti perplessità riguardo al primato dell’onestà sbandierato dal movimento fondato da Beppe Grillo. Infatti l’accusa di Matteo Renzi fa un po’ sorridere detta dal segretario di un partito che non si è mai preoccupato di intervenire in maniera incisiva sugli sprechi di denaro pubblico. In più, l’accostamento dei rimborsi degli stipendi grillini alla vicenda di Tangentopoli appare francamente fuori luogo. Quella fu una vicenda infinitamente più grave ed avvilente nella storia recente del nostro paese, le cui conseguenze paghiamo ancora oggi, dove fu certificato penalmente che un’intera classe politica si reggeva sulle tangenti, compreso l’allora PDS, erede del PCI ed in seguito confluito nel PD di cui Renzi oggi è segretario, anche se i reati ascritti a quel partito andarono in prescrizione. Se le argomentazioni sono queste, allora è bene che Renzi taccia.
Per quanto riguarda il taglio degli stipendi da parte dei parlamentari pentastellati, essa è sicuramente un’iniziativa apprezzabile poiché questi soldi svolgono una lodevole funzione di supporto alle piccole e medie imprese. Tuttavia è francamente ingenuo e poco credibile che restituire i soldi e tagliarsi l’auto blu possa cambiare qualcosa sullo sperpero di denaro e sull’enorme debito pubblico accusato dal paese. Gli stipendi dei parlamentari con tutti i loro annessi privilegi determinano infatti un’influenza minima sul bilancio di uno Stato e rinunciarvi serve soltanto come gesto simbolico, per dare un segnale di comprensione e di vicinanza a chi in questo periodo di crisi vive delle difficoltà, anche se dal punto di vista pratico gli effetti sono quasi nulli. Come sono poco determinanti e altrettanto lodevoli i sostegni alle imprese con il microcredito. Sicuramente questo sostegno economico e finanziario ha aiutato tantissimi piccoli artigiani ad aprire o a continuare un’attività ma si parla di gocce in un mare grandissimo. L’intento punitivo di espulsione, enunciato da Di Maio verso i “traditori” che non avrebbero versato la metà del loro stipendio, dimostra invece coerenza con il principio di rispetto verso gli impegni presi e va dato atto al candidato premier del M5S di voler procedere in questa direzione.
Il problema del M5S è la sua stessa bandiera, ovvero quella dell’onestà, in nome della quale il movimento fondato da Beppe Grillo ha ottenuto tantissimi voti. Utilizzare la questione morale come cavallo di battaglia è sempre un’arma a doppio taglio, per il semplice fatto che quando si cresce e si diventa una forza capace di puntare alla guida del paese, il numero dei rappresentanti all’interno del movimento cresce in maniera esponenziale e crescendo aumenta anche la possibilità che al suo interno si installino personaggi interessati solo al proprio tornaconto, le cosiddette mele marce. Ciò accade in ogni grande partito in ogni stabile democrazia, è un fattore fisiologico, quasi ineluttabile. Proprio per questo inevitabile installarsi di mele marce, se si utilizza un approccio “pasionario” unito alla bandiera dell’onestà, prima o poi contro l’asta di questa bandiera ci si sbatterà la testa e allora sarà difficile spiegare agli elettori come e perché alcuni personaggi sono arrivati a far parte del movimento, perché si apparirà, agli occhi dell’ingenuo cittadino comune, un partito come gli altri.
Gli esponenti del M5S hanno spesso utilizzato la loro rettitudine come bilancia per compensare la loro scarsa esperienza, come ad esempio al Comune di Roma guidato da Virginia Raggi, dove si è perso il conto degli assessori sostituiti a causa di dimissioni spontanee, liti interne o vicende giudiziarie e dove dopo quasi due anni di governo nella Capitale sussistono ancora notevoli perplessità. Altro esempio a Livorno, dove il sindaco Filippo Nogarin è indagato per omicidio colposo plurimo in seguito all’alluvione di settembre scorso, posto comunque che la posizione del sindaco è ancora tutta da verificare. Se però, oltre agli errori di governo dovuti alla scarsa esperienza si somma anche la disonestà, allora il M5S prima o poi morirà trafitto dall’asta della sua bandiera. Per utilizzare un’espressione di Pietro Nenni: “A fare la gara a fare i puri troverai sempre uno più puro che ti epura”.