Renzi di nuovo al timone del Pd, ma la politica ha già perso
Un Pd più coeso attorno a Matteo Renzi: è questo il quadro che si dipinge guardando il risultato delle primarie che si sono svolte domenica scorsa per la scelta del Segretario del Partito Democratico.
Il risultato è innegabile, la vittoria schiacciante. Ad ammetterlo sono in primis gli sfidanti: Andrea Orlando, 48 anni, già Ministro della Giustizia nel governo Renzi, poi riconfermato da Gentiloni; e Michele Emiliano, 57 anni, Presidente della Puglia dal 2015.
Quella di Renzi è stata una vittoria larga, oltre le previsioni: circa il 70% dei votanti ha scelto di dare nuovamente la propria fiducia all’ex premier. Una vittoria prospettata già dall’indomani della scissione interna del partito, ma non in misura così larga.
“Grazie a tutti gli uomini che hanno permesso questa straordinaria festa della democrazia”, ha detto un Renzi vittorioso più che mai. “Il Congresso segna l’inizio di una pagina nuova, non è una rivincita – ha continuato -. E’ un’altra partita che dobbiamo vincere partendo dal presupposto che in questi anni non siamo stati in grado fino in fondo di portare la gente dalla nostra parte, dal basso. E me ne assumo la colpa. Il risultato delle primarie ci dice che dobbiamo ripartire da lì, andare casa per casa a dire che torneremo a discutere con la gente.”
Ma aldilà del plausibile trionfalismo di Matteo Renzi, è doverosa una riflessione sulla presunta “festa della democrazia”.
Domenica scorsa, ai seggi si sono recati un milione e ottocentomila simpatizzanti dem, ma è da registrare come il numero dei partecipanti alle primarie del Pd è andato sempre diminuendo: il 14 ottobre 2007 i votanti erano 3.554.169, il 25 ottobre 2009 circa 500mila in meno, nel dicembre 2013, invece, si recarono ai seggi in 2.814.881, chiamati a scegliere tra Pippo Civati, Gianni Cuperlo e Renzi, un terzo in più rispetto ai votanti delle ultime primarie.
Una flessione inarrestabile soprattutto nelle regioni rosse: in Emilia Romagna hanno espresso il proprio parere 216mila elettori, contro i 405mila del 2013; in Toscana hanno votato circa in 200mila, nel 2013 furono quasi il doppio, 393mila; anche in Umbria e nelle Marche la flessione è stata notevole, tra il 40 e il 50% in meno rispetto alla consultazione precedente.
Alla luce di questi risultati, l’unica considerazione da fare è che a perdere è stata per l’ennesima volta la politica: il dato più evidente è la scarsa partecipazione degli elettori, il calo dell’affluenza si fa sempre più significativo. E ciò che dovrebbe fare più paura è proprio l’astensionismo, il “non voto”, il lasciare agli altri la possibilità di scegliere.
La politica risulta sempre più lontana dagli interessi del cittadino, il rapporto di fiducia tra rappresentante ed elettore è venuto meno senza che nessuno si preoccupasse di arginare il fenomeno e di ricostruire questa relazione.Il nobile compito della politica di costruire un Paese migliore e di ridare la speranza ai cittadini non è stato assolto. La perdita di credibilità e il progressivo sgretolamento delle istituzioni democratiche sono l’immediata conseguenza di quanto le logiche partitiche siano lontane dai reali interessi dei cittadini.
Far riemergere il vero compito della Politica dovrebbe essere il primo obiettivo dei partiti, finora assente in qualsiasi programma.