Il governo cancella i voucher ed evita l’insidia del referendum
Tanto tuonò che piovve. La pressione del referendum chiesto dalla Cgil, con data già fissata al 28 maggio prossimo, e la paura di incassare una nuova brutta figura dopo quella del 4 dicembre scorso, hanno portato il consiglio dei ministri ad approvare in tutta rapidità un decreto per l’abolizione totale dei voucher.Difficile non leggere in questa mossa un segnale di debolezza dell’esecutivo Gentiloni, forse preoccupato per la tenuta e la durata.
Prova ne è che il cdm di oggi ha modificato anche la norma sugli appalti che era l’oggetto del secondo referendum proposto dalla Cgil.
Il premier si difende spiegando: “Abbiamo abrogato le norme su voucher e appalti nella consapevolezza che l’Italia non aveva certo bisogno nei prossimi mesi di una campagna elettorale su temi come questi e nella consapevolezza che la decisione è coerente con l’orientamento che è maturato nelle ultime settimane in Parlamento.”
Dunque abolizione tout court dei voucher, ma con un periodo transitorio fino al 31 dicembre in cui si potranno spendere i buoni lavoro già acquistati e nel frattempo si cercherà uno strumento sostitutivo e più efficace per retribuire il lavoro occasionale e discontinuo; se ne occuperà il tavolo aperto dal ministero del lavoro con le organizzazioni sindacali e datoriali.
Sul fronte sindacale, naturalmente la Cgil esulta e si prende una sonora rivincita dopo che la Corte Costituzionale pochi mesi fa aveva respinto il quesito referendario contro la riforma dell’articolo 18. “Se come appare il governo farà un decreto nel quale dà risoluzione ai quesiti referendari, sia sul tema dei Voucher che degli appalti, nel momento in cui sarà trasformato in legge, considereremo questo un grande risultato e quindi esattamente l’obiettivo che ci siamo proposti con i quesiti referendari”, dice la Camusso.
E’ una buona notizia per il mondo del lavoro?
Chi di certo non festeggia il tramonto dei voucher è il mondo delle imprese.
Il problema, come è stato dimostrato con diversi studi, non risiede tanto nello strumento in sè, ma nell’utilizzo distorto che è stato fatto negli anni.
I Voucher sono stati introdotti nel 2003 con la Riforma Biagi, per retribuire limitate attività svolte occasionalmente, come piccoli lavori domestici, lezioni private, lavori di giardinaggio; avevano lo scopo di contrastare il nero, consentire l’ingresso nel mondo del lavoro ad alcune categorie svantaggiate, come disoccupati, disabili, casalinghe, studenti offrendo loro una copertura Inail per queste attività.
Il boom nell’utilizzo si è registrato negli ultimi anni, solo nel 2016 ne sono stati venduti 121 milioni, con un incremento del 34.6% rispetto all’anno precedente.
Tale diffusione è dovuta ad una serie di provvedimenti normativi introdotti in primis dal governo Monti ( 2012) che ne ha esteso l’utilizzo a tutti i settori, e poi dal governo Letta che ha cancellato il requisito della “occasionalità” delle prestazioni.
Con il jobs act viene esteso da 5.000 euro a 7.000 euro il massimale che un lavoratore può percepire in buoni lavoro e viene confermato il tetto di 2000 euro come importo massimo con il quale un committente può retribuire un lavoratore. Si introduce, però, la tracciabilità.
Qualcosa non ha di certo funzionato, soprattutto è stata sbagliato dare la possibilità alle aziende di retribuire anche prestazioni di tipo “non occasionale” con questo strumento, quando esistono tante altre tipologie contrattuali più adeguate a determinati contesti di lavoro.
Sarebbe stato, forse, più opportuno tornare alla previsione originale restringendo l’utilizzo dei buoni lavoro a limitati settori e a determinate condizioni.
Ora resta un pericoloso vuoto normativo e l’insidia del lavoro sommerso che potrebbe tornare a crescere.