La riforma del lavoro e l’articolo 18

Il titolo già di per sé intende sottolineare, prima di tutto, una cosa: la riforma del lavoro in discussione questi giorni non si limita ad una mera revisione dell’articolo 18, come si potrebbe pensare assistendo alle recenti polemiche.
La delicata riforma sulla quale, in fin dei conti, il governo tecnico guidato da Monti eserciterà in maniera principale il suo ruolo, prevede infatti, anche se non ancora presentate ufficialmente, molte altre novità, alcune decisamente positive.
I cambiamenti che si intendono adottare per superare l’obiettivo della precarietà, alcuni dei quali preannunciati oggi dal Corriere della Sera e dalla Stampa, potranno portare a benefici concreti. Innanzitutto l’eliminazione degli stage o dei tirocini impropri. “Una delle cose che vogliamo fare – ha spiegato il ministro del Lavoro Elsa Fornero – è eliminare questi stage gratuiti. Dopo la laurea o dopo un master vai in azienda ma non fai più uno stage gratuito, magari sarà una collaborazione, magari un lavoro a tempo determinato, ma è un lavoro e l’azienda lo deve pagare”.
I contratti a tempo determinato e quelli a progetto saranno scoraggiati, proprio da un governo accusato più volte di voler aprire il mondo del lavoro ad una flessibilità sfrenata e crudele.
I primi conosceranno un aumento dell’1,4% dei contributi che andrà a finanziare la nuova assicurazione sociale per l’impiego (Aspi). Tale maggiorazione potrà essere recuperata in caso di assunzione a tempo indeterminato (premio di stabilizzazione), mentre se il datore di lavoro vuole insistere sull’occupazione a scadenza, avrà più difficoltà a fare i rinnovi, perché dovrà far passare più tempo da un accordo ad un altro; in più saranno anche allungati i tempi per l’impugnazione stragiudiziale del contratto.
Per quanto riguarda i contratti a progetto, se l’attività del lavoratore a progetto finisce per essere sostanzialmente simile, per orario o per compiti svolti, a quella del dipendente allora scatta la presunzione del carattere subordinato della prestazione. Viene poi eliminata la facoltà di introdurre clausole individuali che consentano il recesso del datore di lavoro prima della scadenza del termine o comunque del completamento del progetto, anche in mancanza di una giusta causa, fermo l’obbligo di dare comunque il preavviso al collaboratore.
Queste, dunque, alcune delle modifiche attese dalla riforma. Ma la partita sembra giocarsi sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che disciplina i casi di licenziamento illegittimo.
La novità che sta provocando una moltitudine di polemiche prevede l’impossibilità del reintegro del lavoratore nel caso si accertasse l’invalidità del licenziamento economico (“per motivi oggettivi”). La normativa oggi distingue tra licenziamento economico, o per motivi oggettivi, e licenziamento disciplinare, o per motivo soggettivo. Se il lavoratore licenziato si rivolge al giudice del lavoro, e questo ritiene che non ci si trovi di fronte a validi motivi economici (soppressione della mansione cui era addetto il lavoratore, cancellazione del reparto o dell’ufficio in cui lavora il dipendente, introduzione di macchinari che fanno risparmiare sul lavoro umano, esternalizzazione,crisi o difficoltà aziendale, chiusura dell’attività), l’attuale normativa prevede il reintegro del lavoratore, il risarcimento del danno e la corresponsione dei contributi mancati. Con questa riforma, invece, il giudice potrà decidere solo per l’indennizzo economico.
La Cgil ha espresso la sua indignazione e ha già annunciato uno sciopero generale. La Cisl, a dispetto dell’iniziale approvazione, sta lentamente esprimendo la propria volontà di cambiare la norma sui licenziamenti economici. Chiedono modifiche anche la Uil e l’Ugl. Il Pd con il segretario Pierluigi Bersani ha espresso opposizione alla norma: “La questione dell’articolo 18 bisognava affrontarla alla tedesca, non alla americana e così è venuta fuori una cosa che non condivido. Diventeranno tutti licenziamenti per cause economiche e se anche fossero giudicate non veritiere, il datore di lavoro se la caverebbe con 15 mensilità, si squilibrano i rapporti di forza, non bisogna necessariamente essere Susanna Camusso per dirlo”. L’Idv di Antonio Di Pietro ha addirittura annunciato di essere pronto ad “un Vietnam parlamentare”. Umberto Bossi ha dichiarato che “il popolo della Lega chiede di non toccare l’articolo 18″. Insomma, gli unici favorevoli a questa norma sembrano essere, oltre alla Confindustria, il Pdl e l’Udc.
A questo punto per non far accendere ulteriormente le tensioni, il governo dovrebbe orientarsi verso un accoglimento di una parte di queste proposte di modifica. Il ministro Fornero questa sera ha detto che “i tempi saranno brevi, lo confermo, non brevissimi, ma il tempo necessario perché il Parlamento veda il provvedimento, lo esamini, lo emendi dove ritiene e lo approvi, oppure ci mandi a casa, questo fa parte della democrazia”. La prospettiva di presentare un disegno di legge di iniziativa governativa davanti al Parlamento, senza blindarla attraverso un decreto, e la possibilità che questa riforma conosca delle proposte di miglioramento da parte delle forze politiche presenti, fanno anch’esse parte della democrazia. Su un tema così delicato, anche dei tecnici capaci e monolitici dovrebbero rendersi consapevole di questo fattore, vitale per la democrazia.
Ermes Antonucci
23 marzo 2012