Quirinale, Napolitano: “Lascio a fine semestre europeo”. Prodi e Draghi si chiamano fuori dalla corsa al Colle, salgono quotazioni di Cassese e Flick

ROMA -Giorgio Napolitano rimarrà presidente della Repubblica fino alla conclusione del semestre europeo a guida Italia. Il capo dello Stato ha confermato quanto ci si aspettava nel corso della cerimonia per lo scambio di auguri con le alte cariche dello Stato al Quirinale ieri sera. “Tutto richiede continuità istituzionale. A rappresentarla e garantirla mi ero personalmente impegnato ancora una volta, per tutto lo speciale periodo del semestre italiano di presidenza europea”, ha sottolineato concludendo il suo discorso Napolitano annunciando di fatto che questo sarà il suo ultimo mese da inquilino del Colle visto che il semestre europeo, come aveva sottolineato aprendo il suo intervento, “si concluderà tra poco, il 13 gennaio, col discorso a Strasburgo del nostro presidente del Consiglio”.
Il dado è tratto quindi, e il balletto dei nomi dei papabili successori di Napolitano, in realtà iniziato da tempo, può ora essere istituzionalizzato. Individuare una figura di garanzia, largamente condivisa da tutti gli schieramenti politici, con un cursus honorum adeguato, non sarà facile per lo stesso Parlamento che nell’aprile del 2013 non seppe fare altro che chiedere a Napolitano un supplemento di sacrificio rieleggendolo nuovamente.
Dal lotto dei papabili sembra destinato a uscire Romano Prodi, dichiaratosi indisponibile, di sicuro poco gradito a Forza Italia e Lega nonostante il profilo adeguato e di indiscussa caratura internazionale. Sulla stessa barca, con l’aggiunta di non essere molto simpatico e ben voluto dagli italiani, si troverebbe Mario Monti. Considerati i rapporti personali non troppo amichevoli con il premier pare difficile che personaggi del calibro di Emma Bonino e Massimo D’Alema, pur avendo le carte in regola, possano sperare di trovarsi in corsa tra un mese per sostituire Napolitano. Una eventuale svolta rosa, Bonino a parte, suggerirebbe nomi con un curriculum non molto ricco ma pur sempre di rilievo: Marta Cartabia, vicepresidente della Consulta, e Laura Boldrini, attuale presidente della Camera, sono le più accreditate. Tra i tanti nomi circolati anche quelli di Giuliano Amato, evergreen delle candidature, Walter Veltroni e Pier Carlo Padoan, attuale titolare del ministero dell’Economia, ma si tratta di candidature attualmente in ribasso. Outsider in ascesa due giuristi ex giudici costituzionali come Sabino Cassese e Giovanni Maria Flick, quest’ultimo in passato presidente della Consulta e ministro di Grazia e Giustizia del primo governo Prodi.
La candidatura più affascinante, nonostante lui stesso abbia detto di non sentirsi tagliato per il ruolo di capo dello Stato, rimane quella del presidente della Banca centrale europea Mario Draghi. Tuttavia, essendo la Bce l’unico organismo europeo con un potere reale, il buon senso vorrebbe che l’Italia non rinunciasse a mantenere un italiano alla sua guida lasciando Draghi al suo posto.
Toccherà a Matteo Renzi tracciare la pista, e servirà del tempo per sentire aria fresca alla fine di un tortuoso tunnel che vede mescolarsi all’esigenza di eleggere il nuovo capo dello Stato, quella di approvare la legge elettorale e le riforme costituzionali evitando i tranelli delle opposizioni (interne ed esterne).
La road map sembra definita. Voci insistenti vogliono che la data prescelta per l’addio di Napolitano sia giovedì 15. Dalle dimissioni alla convocazione del Parlamento in seduta comune dovrebbero passare quindici giorni, tempo necessario per consentire alle regioni di nominare i grandi elettori. I giorni segnati in rosso sul calendario di palazzo Chigi, frutto dei colloqui informali tra le massime cariche istituzionali, sono quelli del 28 o 29 gennaio, primo scrutinio per la scelta del successore di Napolitano. A quei giorni Renzi conta di arrivare con l’Italicum approvato, magari portandolo direttamente in aula a palazzo Madama senza l’ok della Commissione Affari costituzionale per evitare di essere rallentato dai 17mila emendamenti presentati, e perché no, anche con il via libera dell’Assemblea di Montecitorio per la riforma costituzionale. A quel punto la strada per individuare un successore di Napolitano sarebbe meno funestata da imboscate e l’accordo più facile da trovare fermo restando l’assoluto niet di alcune forze politiche verso alcuni dei nomi più in vista.
Donato Notarachille
17 dicembre 2014