Jobs act: Approvato l’emendamento del Governo che cambia l’articolo 18. Reintegri solo per alcune fattispecie di licenziamenti disciplinari
ROMA – La Commissione Lavoro di Montecitorio ha approvato l’emendamento del Governo al Jobs act che modifica la disciplina delle tutele sui licenziamenti. Il restyling è andato a buon fine: l’articolo 18 cambia faccia dopo un lungo tira e molla interno alla maggioranza di governo. E il cambiamento, strano a dirsi, lascia soddisfatte entrambe le parti. O almeno così sostengono la maggioranza renziana del Pd e Ncd, mentre il premier Matteo Renzi insiste sul fatto che, messo da parte il “dibattito ideologico”, il Jobs Act “non toglie diritti, ma toglie solo alibi, ai sindacati, alle imprese, ai politici”.
L’emendamento presentato dal governo (una riformulazione dell’emendamento a prima firma della deputata del Pd Marialuisa Gnecchi) e approvato in commissione Lavoro alla Camera fa entrare direttamente nel testo della delega ciò che finora non c’era: un riferimento diretto alla reintegra nel posto di lavoro, e dunque all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Agganciate all’introduzione del contratto a tutele crescenti, le principali novità riguardano i licenziamenti economici, ovvero quelli legati alla situazione economica o organizzativa dell’azienda. Con le novità della delega, si fissa il solo indennizzo economico “certo e crescente” con l’anzianità di servizio per i licenziamenti economici, mentre il reintegro sul posto di lavoro resta per i licenziamenti discriminatori e andrà limitato esclusivamente a “specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato” che verranno dettagliate nei decreti legislativi che arriveranno solo dopo l’ok definitivo al ddl delega. Con i decreti delegati si cercherà, in sostanza, di tipizzare le fattispecie per arginare la discrezionalità dei giudici. L’emendamento del Governo stabilisce inoltre che bisognerà prevedere “termini certi” per l’impugnazione del licenziamento. La riforma Fornero era in realtà già intervenuta in materia, ridefinendo l’intera procedura e istituendo un rito speciale per i licenziamenti avvenuti dopo l’entrata in vigore della legge. Oggi, prima di intraprendere l’azione giudiziale, il licenziamento deve essere impugnato stragiudizialmente per iscritto entro 60 giorni dalla data di comunicazione da parte del datore. La legge precedente stabiliva sempre un termine di 60 giorni, ma dalla data di comunicazione dei motivi di licenziamento che poteva anche non essere contestuale. L’azione giudiziale può essere intrapresa non oltre il termine di 180 giorni (contro i 270 precedenti) che decorrono dalla data di impugnazione extragiudiziale. Il giudice del lavoro è tenuto a fissare l’udienza di comparizione delle parti nei 40 giorni successivi al deposito del ricorso.
Le opposizioni hanno votato contro l’emendamento e subito dopo abbandonato i lavori, in segno di protesta, contro “l’autodelega Renzi-Sacconi”, come sostenuto da Sel, contro “il teatrino” messo in scena, come affermato invece dal Movimento 5 stelle. Nelle file del Pd si è invece astenuta dal voto in commissione la deputata Monica Gregori, esponente della minoranza. “Sono molto soddisfatto della riformulazione” sull’articolo 18, dice il presidente della Commissione Lavoro della Camera e relatore del Jobs act, Cesare Damiano (Pd), che sottolinea come “confermi i contenuti dell’accordo che abbiamo sottoscritto con il governo”. Damiano in particolare evidenzia che si “ricalca puntualmente il testo della Direzione del Pd”. E che si era “partiti dall’idea di mantenere la tutela per i soli licenziamenti discriminatori, come sostenevano taluni esponenti del governo, e siamo arrivati ad includere anche i licenziamenti disciplinari. Non era scontato”. A esprimere la soddisfazione anche di Ncd, il presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi, che insiste sui tempi: “Ora facciamo presto”. Ad accelerare sui tempi è lo stesso governo che ha presentato un emendamento aggiuntivo al Jobs act, per cui la delega ed i successivi decreti legislativi entreranno in vigore il giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale, superando così la vacatio legis dei 15 giorni (questo emendamento sarà votato domani). Per qualcuno, nella partita sul Jobs act ed in particolare sull’articolo 18, “ha vinto Sacconi”. Ribatte il presidente del Pd, Matteo Orfini, sottolineando che l’ex ministro “non voleva cambiare il testo del Senato. E’ abbastanza evidente l’esito”. Nel testo approvato in prima lettura a Palazzo Madama si faceva riferimento soltanto alla previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio. Lo stesso Sacconi afferma che “hanno vinto i riformisti di destra e di sinistra”. Esprime “soddisfazione” per il percorso che “ha portato ad una mediazione positiva, che chiarisce ulteriormente i contorni della delega nel capitolo delicato delle tutele”, il sottosegretario al Lavoro, Teresa Bellanova, in commissione per i lavori: “Avanti dunque con un’opera impegnativa e complessa di riforma, per dare al più presto risposte alle persone in carne ed ossa che fuori da qui aspettano un segnale concreto di cambiamento”.
Donato Notarachille
19 novembre 2014