Jobs act, dopo la bagarre arriva la fiducia
ROMA – Il governo ottiene la fiducia sul Ddl lavoro (Jobs act) al Senato con 165 sì, 111 no e 2 astenuti. Una discussione che si è protratta per tutta la giornata e si è conclusa a tarda sera, intorno all’una di notte. Un voto che dà ragione a Renzi che oggi aveva risposto alle proteste verificatesi in Aula con queste parole: “Possono contestarci ma la verità vera è che questo paese lo cambiamo. Non molliamo di un centimetro e con tenacia raggiungeremo l’obiettivo”.
Durante la seduta di oggi i momenti di tensione sono stati molti: urla, spintoni, gesti di provocazione (come la consegna delle monetine da parte di alcuni esponenti del M5s sui banchi del governo). Poi l’espulsione del capogruppo di M5S Vito Petrocelli, tra i senatori grillini più infervorati, richiamato per ben due volte.
Ad innescare le proteste è stato l’intervento del Ministro Poletti che a causa delle contestazioni non ha potuto concludere, costringendo così il Presidente Grasso ad una sospensione della seduta. Alla ripresa –intorno alle 16- il ministro per le Riforme istituzionali, Maria Elena Boschi, ha presentato in Aula un maxi-emendamento interamente sostitutivo del Jobs act ponendo su di esso la fiducia.
Una fiducia arrivata solo dopo ore di contestazione, anche se una minoranza interna del Pd ha già annunciato che farà di tutto per far modificare il testo alla camera. Già oggi infatti, 26 senatori e 9 deputati membri della Direzione Pd–mossi dalla convinzione che l’emendamento “non raccoglie gli elementi essenziali votati in direzione sulle caratteristiche del licenziamento per motivi disciplinari”- hanno firmato un documento sul Jobs act. “Noi chiediamo con forza che prima della revisione delle tipologie contrattuali vengano approvate le norme sugli ammortizzatori sociali –hanno fatto sapere i dissidenti – e manca una definizione del contratto a tutele crescenti”.
Dal testo approvato in Senato, emerge che il governo si impegna a “promuovere, in coerenza con le indicazioni europee, il contratto a tempo indeterminato come forma privilegiata di contratto di lavoro rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti”.
Inoltre il maxiemendamento si impegna a ridurre le oltre 40 forme contrattuali attualmente esistenti “ai fini di poterne valutare l’effettiva coerenza con il tessuto occupazionale e con il contesto produttivo nazionale e internazionale, in funzione di interventi di semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali”.
Si legge poi che la revisione della disciplina delle mansioni “in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi”, dovrà avvenire “contemperando l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche, prevedendo limiti alla modifica dell’inquadramento”.
Renzi, che in giornata ha presieduto al vertice Ue tenutosi a Milano, aveva detto: “Al Senato porteremo a casa il risultato oggi, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi”. Finora il premier ha avuto la meglio, ma guardando al clima politico di oggi gli scenari sulla riforma del lavoro sembrano avere margine per rimanere aperti
Luigi Carnevale
9 ottobre 2014