La verità irraggiungibile del caso di Emanuela Orlandi

Le malefatte del potere
Era giugno del 1983, l’Italia attraversava il suo periodo più splendente. Superate le difficoltà e le brutture degli anni ’70, sembravano aprirsi anni migliori ricchi di benessere e novità. Ma la storia del secondo novecento italiano è segnata innegabilmente dalle logiche della guerra fredda, da lotte intestine dello stato italiano che hanno sparso litri di sangue e non hanno mai conosciuto responsabili. In questi anni di terrore, servizi segreti, bande criminali, mafia, politici corrotti hanno piazzato bombe, rapito delle persone.
“Perpetuare il male per garantire il benessere, lo sviluppo della democrazia”, diceva Giulio Andreotti in “Il Divo”. Ma è un’altra storia che non ci impegneremo a raccontare in questo articolo, quella che riguarda stragi e omicidi irrisolti nel nostro paese. Trai tanti misteri, ci si concentrerà su una terribile scomparsa che ha sconvolto l’Italia nel 1983: quella legata a Emanuela Orlandi.
La sparizione della giovane ragazza romana è un caso molto complesso in cui sono coinvolti diversi soggetti e gruppi di potere. Emanuela Orlandi viveva in Vaticano coi suoi genitori, aveva 15 anni ed era la quarta di cinque fratelli. Ercole Orlandi, padre di Emanuela, era un messo dello Stato Pontificio, nonché, pare, un uomo di fiducia di Papa Wojtyla. Il pontificato di Giovanni Paolo II era iniziato da poco e per poco non fu interrotto da un atto fatale: l’attentato alla vita del pontefice per mano di Ali Agca.
Erano anni molto complicati per la politica internazionale e un punto di svolta sembrava sempre più vicino. Ma dette e presupposte le malefatte che i sistemi di potere compiono per salvaguardarsi, cosa c’entra un’adolescente come Emanuela Orlandi? Quando ho scritto che in questo articolo non ci si soffermerà sulla natura di questi tragici e misteriosi avvenimenti, è perché la scomparsa di Emanuela Orlandi racchiude un po’ tutti i caratteri dei “casi italiani” e annulla qualsiasi senso possano avere le parole di Toni Servillo nei panni di Andreotti.
La colpa di essere cittadina vaticana
Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, dirà in un documentario andato in onda su Sky che la sorella aveva una sola colpa “quella di essere una cittadina vaticana”. Da quando era stato eletto Giovanni Paolo II si presentava come l’alfiere dell’anticomunismo, aveva sostenuto le rivolte polacche di Solidarność e, soprattutto, si assicurava che al movimento indipendentista arrivassero i soldi dallo IOR. Il presidente per l’Istituto delle Opere Religioso era Paul Marcinkus. Nello IOR transitavano e venivano riciclati quantità incommensurabili di denaro provenienti da attività illecite. Nello IOR passavano i soldi di Cosa Nostra, quelli della banda della Magliana o dei forti gruppi di potere e di interesse internazionali.
Ancora non sarà chiaro, però, cosa c’entrano Giovanni Paolo II, Paul Marcinkus e la Banda della Magliana nella scomparsa di Emanuela Orlandi? A questo punto si incrociano due dichiarazioni quelle, parzialmente, già riportate del fratello di Emanuela e quelle di Sabrina Mainardi, ex compagna di Enrico De Pedis, uno dei capi della banda romana. La Mainardi nel 2008 ha dichiarato che Renatino personalmente le avrebbe spiegato i motivi alla base della scomparsa di Emanuela: Marcinkus gli avrebbe chiesto di rapirla “come se avesse voluto dare un messaggio a qualcuno sopra di loro”. In sostanza, unendo le parole della Mainardi a quelle di Orlandi, i vertici dello IOR, coinvolti contemporaneamente in altre vischiose vicende, avrebbero rapito proprio la giovane Emanuela perché cittadina vaticana, soltanto per trasmettere un avvertimento.
Ora, nonostante questa ricostruzione sembri la più plausibile, sono state diverse le ipotesi avanzate sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. Dagli immediati tentativi di depistaggio alle indiscrezione che portavano ai Lupi Grigi di cui faceva parte Alì Agca, dal misterioso reclutatore di ragazze disposte a vendere cosmetici per l’Atelier Fontana alle telefonate dell’Amerikano. Di fatto, ancora oggi rimangono soltanto il dubbio e la rabbia attorno alla vicenda.
La verità un po’ alla volta
Pietro Orlandi non si è mai arreso. Continua a battersi perché la verità venga a galla, perché si possa sapere cosa sia successo a sua sorella. Nel 2012 il vicecapo della procura di Roma, Capalbo in un incontro con i vertici della Santa Sede riportò a Pietro Orlandi due dichiarazioni. La prima riguarda l’imbarazzo che avrebbe avuto il Vaticano nel riesumare la salma di De Pedis; la seconda è che alle richieste dei familiari di Emanuela di ritrovare un corpo piuttosto che dei responsabili, l’intermediario del Vaticano ha risposto “va bene”.
E’ questo “va bene” che dilania Pietro Orlandi, perché significa che qualcuno sa, ha sempre saputo ma non parla. Non lo fa perché ammettere ufficialmente delle colpe sarebbe un danno incommensurabile all’Istituzione ecclesiastica. Nonostante gli ostacoli che negli anni si sono opposti nel cammino verso la verità, Orlandi non si arrende. Con lui molti cittadini italiani che hanno a cuore la vicenda cercano un corpo o quantomeno delle spiegazioni.
Recentemente sono state analizzate delle ossa trovate all’interno di una chiesa di Roma, ma non erano quelle di Emanuela. La solidarietà delle persone attorno alla questione è evidente e ciò si evince anche dai programmi televisivi che ripresentano puntualmente il caso Orlandi e invitato il signor Pietro in studio. Da “Chi l’ha visto” sono arrivati nel corso degli anni aggiornamenti importanti, fondamentali per iniziare a fare chiarezza sul caso. Emblematico è l’episodio del 2005, in cui durante la trasmissione arriva in studio una telefonata anonima; l’interlocutore invita a guardare chi era sepolto nella Basilica di Sant’Apollinare e alludeva a un favore che il defunto (Renatino) aveva fatto al cardinal Poletti.
Cardinal Poletti che rientrava nella lista di nomi iscritti alla Massoneria pubblicata da Mino Pecorelli nella sua rivista OP – Osservatore Politico. Pecorelli che verrà ucciso nel 1979 da quattro colpi di pistola fuori la sede del suo giornale. Da chi? Questo è un altro mistero italiano.
Un cadavere senza nome ritrovato nel 1983 a Priverno
Ma tornando al caso di Emanuela, “Chi l’ha visto” fu fondamentale per collegare Renatino alla scomparsa di giovane ragazza italiana. E oggi dalla stessa trasmissione provengono nuovi aggiornamenti che potrebbero fare luce sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. Nell’agosto 1983 a Priverno, un paese a circa un’ora da Roma, è stato ritrovato un corpo senza vita di una donna all’interno di un bosco del Castello di San Martino. Il Castello in quegli anni era in mano ai privati che lo aprivano di rado; in quella giornata di agosto fu un fungaiolo a ritrovare il cadavere sepolto sotto venti cm di terra senza nessun documento. Avvisati i carabinieri l’indagine è stata subito chiusa e la donna è stata sepolta al cimitero di Priverno. Dai rapporti dell’ANSA del tempo l’autopsia descriveva la donna come una ragazza attorno ai 20 anni, alta 1,52 metri con i capelli lunghi neri e delle vesti di buona fattura. Il particolare interessante è che nessuno conosce il nome di chi ha eseguito l’autopsia.
Come si è arrivati a collegare un cadavere trovato 35 anni fa con la scomparsa di Emanuele Orlandi? Perché una signora, abitante di Priverno, figlia del proprietario di un’agenzia funebre, durante gli appelli di “Chi l’ha visto” ha ricordato questo misterioso episodio, connettendolo alla sparizione dell’Orlandi. Ci si potrebbe chiedere perché il dubbio non è sorto a nessuno tempo fa. Di fatto, oggi la situazione è questa.
Il complesso caso di Emanuela Orlandi non ha ancora una soluzione, seppure le ipotesi su quello che potrebbe essere successo sono molto concrete. Per questo quella donna forse potrebbe essere Emanuela. Solo una riesumazione darebbe una risposta. E’ doveroso parlare con il condizionale perché il cadavere potrebbe appartenere a chiunque, ma penso ci siano sufficienti coincidenze con la scomparsa di Emanuela perché si prenda la decisione di indagare sull’identità di quella donna.