La Commissione Europea è tornata a rimproverarci

Siamo nella seconda settimana di maggio e l’Italia, a più di due mesi dalle votazioni del 4 marzo, è ancora senza un governo. Dopo vari giri di consultazioni, mandati esplorativi ed ipotesi di governi neutrali sembra però che si sia arrivati ad un punto di svolta: Berlusconi ha infatti detto di accettare un governo Lega e 5 Stelle, al quale però non voterà la fiducia. Ora dunque Di Maio e Salvini posso riprendere le trattative, abbandonate tempo fa dopo l’apertura ai democratici dei penta stellati e formare un nuovo governo.
I precedenti
In realtà non siamo gli unici ad avere una situazione particolarmente delicata dopo le elezioni. La Spagna ha registrato un risultato totalmente contrario alle previsioni: nonostante i lunghi 10 mesi senza esecutivo, andate a vuoto ben due tornate elettorali e lunghe quanto inutili trattative, nel terzo trimestre del 2016 ha registrato un aumento del Pil del 3,2%. Il Belgio è rimasto ben 541 giorni senza governo eppure concluse l’anno con il Pil in crescita al 2,7%. Persino la Germania ha vissuto una situazione simile: dopo le ultime elezioni è stata 169 giorni senza governo.
L’Europa ed i mercati si preoccupano di noi
Nonostante i casi passati sopra elencati, l’Europa continua a preoccuparsi quasi esclusivamente dell’Italia e non bisogna attendere per ricevere le preoccupazioni della Commissione Europea «I rischi sulle previsioni di crescita sono diventati più orientati al ribasso. Le incertezze politiche sono più pronunciate e, se prolungate, potrebbero rendere i mercati più volatili e avere un impatto sul sentimento economico e i premi del rischio». I grandi timori dell’Unione sono diretti per lo più ai vincitori delle elezioni, Salvini e Di Maio, entrambi, anche se il secondo ad intermittenza, volti a cambiare drasticamente i rapporti con l’UE, la quale si preoccupa che l’Italia porti avanti le riforme dettate da Bruxelles, richiamando a gran voce i rischi per l’economia nazionale, già di suo in una precaria situazione. In particolar modo in Commissione temono la cancellazione della riforma Fornero, del Job’s Act e dell’aumento dell’Iva.
E se fossero gli italiani a decidere?
Prima del 4 dicembre 2016 i timori era quasi maggiori da parte dei mercati: si temeva, con una ipotetica vittoria del no, che l’Italia rischiasse addirittura la sua permanenza nell’Euro, che aumentasse la differenza dello spread con una relativa performance negativa della Borsa, mentre chiaramente i mercati facevano il tifo sfegatato per il sì. Sappiamo già come è andata e abbiamo visto che la catastrofe non si è avverata, anzi, ricordo ancora quel tono tanto incredulo quanto entusiasta che al telegiornale del 6 dicembre presentava una situazione positiva della Borsa italiana.
E se i mercati sbagliassero?
Non sarebbe la prima volta, come illustrato appena sopra. La crisi del 2008 ha addirittura visto le tanto temute agenzie di rating al centro della bufera in quanto cause scatenanti, peggio ancora, se, come appurato, l’hanno fatto in modo volontario e consapevole. In realtà è consolidato che l’instabilità politica fa tremare le gambe ai mercati internazionali, i quali cercano in ogni modo di richiamare l’attenzione e far sì che tutto continui come prima delle elezioni. Il cambio di rotta a livello politico, le elezioni democratiche di un popolo chiamato alle urne, nulla conta. Allora arriva puntuale il richiamo da parte dell’Unione Europea che, da brava madre, ci ricorda che bisogna fare i compiti. Non è così che funziona però: giuste o sbagliate che siano le scelte di un popolo, queste devono essere rispettate se derivano da un processo democratico quale quello delle elezioni. Se non bastasse questo principio generico a far cambiare idea, i precedenti casi di instabilità politica a cui non è corrisposta quella economica, così come l’incapacità dei temuti mercati di prevedere il reale andamento dell’economia, dovrebbero far realmente riflettere sui rapporti tra economia e realtà e soprattutto sulle cause reali di tali interessi nelle economie nazionali da parte di enti esterni.
Nel caso italiano, poi, le elezioni hanno consegnato l’immagine di un paese spaccato in tre parti, due in altrettante collocazioni politiche ben definite, M5S e centrodestra, mentre la restante divisa in più colori politici non ben assimilabili. È più che ovvio che una tale situazione richieda tempo, specialmente se non si era mai presentata prima. I cambiamenti di tali dimensioni non avvengono nel giro di una settimana e, nonostante la nostra classe politica se la sia presa fin troppo comoda, come altri paesi hanno dimostrato non è necessario che l’Unione Europea ci minacci per affrettare le cose.