In missione per conto di Dio. The Blues Brothers, l’enciclopedia del rhythm & blues

“Di là ci sono due tizi vestiti da impresari delle pompe funebri […] quello alto vuole pane bianco tostato liscio, con niente sopra. E quell’altro ha ordinato la bellezza di quattro polli fritti e una coca.”
Basta questa insolita richiesta culinaria per far capire a Matt “Guitar” Murphy che nel suo locale sono appena entrati Elwood e Jake: i Blues Brothers. Meno contenta sarà la moglie, interpretata da Aretha Franklin, che poco dopo, cercando di far ragionare il marito, si darà in una delle sue più celebri interpretazioni di Think.
Ma piano, la VHS è iniziata a metà del film, mentre la riavvolgiamo, torniamo indietro nel tempo alla seconda metà degli anni 70, John Belushi e Dan Ayckroyd sono già conosciuti per le loro comparse al Saturday Night Live nei panni dei Fratelli Blues, Belushi aveva già lavorato con John Landis in un altro film cult: Animal House (1978) e il duo era stato portato sul grande schermo anche da Spielberg, senza troppo successo, in 1941 – Allarme a Hollywood. È il 1980, The Blues Brothers esce nelle sale, non un musical, non solo una commedia musicale, ma un’odissea nel rhythm & blues.
Un’odissea nel R’n’B
Sulle note di She Caught the Caty, Jake riunitosi al fratello Elwood, dopo essere uscito di prigione, sale a bordo della Bluesmobile e viene condotto controvoglia dalla “Pinguina”, austera madre superiora dell’orfanotrofio dove i due sono cresciuti. Venuti a conoscenza della possibile chiusura dell’istituto, qualora non vengano saldati alcuni debiti col fisco, gli ex inquilini offrono il loro aiuto, non dopo una sonorosissima bacchettata della priora. Qui avviene il primo incontro con un maestro del R’n’B, Cab Calloway che veste i panni di colui che ha iniziato i fratelli alle note travolgenti del jazz. Sarà proprio Cab a consigliare alla coppia di rivolgersi al “Reverendo” James Brown, dove nella baraonda di un coro gospel, Jake, “vista la luce”, capirà che riunire la band e organizzare un concerto è l’unica occasione per risolvere ogni problema. I metodi saranno di certo poco ortodossi, ne è l’esempio il modo in cui viene precettato Alan “Mr. Fabulous” Rubin, che da Chez Paul è vittima di una delle cene più irriverenti del cinema hollywoodiano.

Riunita la band, i nostri eroi necessitano di strumenti, e dove cercarli se non a Maxwell Street, tempio del blues dove troviamo John Lee Hooker che, inforcata la sua gloriosa Epiphone Sheraton, interpreta Boom Boom.
E se Hooker, novello Cerbero, ci accoglie in Maxwell Street; savio scudiero che fornirà gli strumenti per l’epica impresa sarà un altro mostro sacro del jazz: l’onniveggente Ray Charles.
La metafora del Blues
Ma dove sono i cattivi? Contro chi si battono i nostri eroi? Ce n’è per tutti i gusti, perché fare Blues significa anche lottare contro pregiudizi e disparità e i Brothers lo fanno in modo ironico e dissacrante, senza mai nascondersi, se non dietro un paio di Ray-Ban Wayfarer che, forse ripareranno dalla luce, ma allo stesso tempo donano una visione di ciò che è giusto e sbagliato così nitida da sbalordire. Dal momento in cui si inimicano “I nazisti dell’Illinois”, cercando di centrarli con la Bluesmobile, alla stessa cena da Chez Paul. È qui che il Blues stesso, povero e fiero, laconico e veemente, scandalizza aristocratici e perbenisti: épater le bourgois, diceva qualcuno.
C’è fine più nobile di salvare un orfanotrofio? I mezzi saranno di certo drastici, ma fanno davvero ridere. Dagli spettacolari inseguimenti in auto, che fecero guadagnare un Guinness World Record per il maggior numero di incidenti in una scena cinematografica, alle epiche balle di Jake di fronte alla fidanzata Carrie Fisher, la già osannata Principessa Leila, che per tutto il film vuole letteralmente disintegrare il tombeur de femmes Belushi, ma cade vittima del suo sguardo magnetico non appena, per la prima e unica volta, si toglie gli occhiali da sole.
Everybody Needs Somebody to Love
Molti appaiono sulla pellicola, molte altre voci si sentono nella colonna sonora, tanti altri tributi sono nascosti come easter eggs in tutto il film: come quando Elwood si addormenta sulle note di Let the Good Times Roll di Louis Jordan, o in apertura del concerto, quando Cab Calloway cerca di placare il pubblico irrequieto con Minnie the Moocher, esibendosi in uno scat che coinvolge tutta la platea.
Ma Everybody Needs Somebody to Love, è consapevolmente tributo e canzone simbolo di tutto il film. Molti credono sia loro, ma a onor del vero fu scritta nel 1964 da Bert Berns, Jerry Wexler e Solomon Burke, interpretata da quest’ultimo e poi riproposta da The Rolling Stones l’anno seguente. Il live con cui vi lasciamo è quello di Parigi 2003, Mick e Solomon non saranno più di primo pelo ma emozionano e tengono il palco come anche The Blues Brothers erano in grado di fare.