di Raffaella Roversi
Chiude la stagione teatrale dei Filodrammatici di Milano lo spettacolo “Hemingway”, prodotto da Corrado Accordino, che porta la firma di La danza Immobile/Teatro Filodrammatici/eThica?, un tributo a Hemingway, al suo coraggio di vivere, alle sue opere, ai suoi racconti e al suo nuovo modo di fare letteratura.
Nel suo monologo, Corrado Accordino traccia l’intera biografia dello scrittore americano partendo dal 21 luglio1899 data della sua nascita a Oak Park, Chicago, Illinois. Suo padre è un medico di ventotto anni, sua madre una cantante lirica di scarso successo. Il piccolo Ernest ama molto il padre che gli insegna ad ascoltare i fiumi e la natura per pescare e cacciare. Proprio da questo amore per la caccia e la pesca nasce nel ragazzo l’amore per l’avventura e il desiderio di vivere in un panismo dove si ricerca una fusione tra l’elemento naturale e quello umano.
Lo spettatore segue Accordino in questo viaggio attraverso meridiani e paralleli: si troverà in Italia durante la prima guerra mondiale, dove il giovane americano vedrà la “naturalezza” della morte atroce e innaturale su larga scala. Lo seguirà negli Stati Uniti al ritorno dalla guerra, quando, con la morte ancora negli occhi si attaccherà all’alcool per provare a riadattarsi alla vita. E poi di nuovo via, in partenza verso la Parigi degli anni venti dove si odono da un caffè di Montmartre le note un pò melanconiche “du Piaf de Paris”. E’ a Parigi, teatro di avanguardie culturali ed avanguardisti , che si profila la sua vita da “gran figlio di puttana”.
A Parigi ci sono tutti : Constantin Brâncuşi, Francis Picabia, Georges Braque, Pablo Picasso, Jean Cocteau, Tristan Tzara, Erik Satie, James Joyce e Sylvia Beach, proprietaria della famosa libreria Shakespeare & Co. Hemingway stesso dirà:”Se sei abbastanza fortunato da aver vissuto a Parigi come un giovane uomo, allora per il resto della tua vita ovunque andrai, sarà con te”. E poi Europa, Africa, Cuba, le guerre per la libertà, i matrimoni (ben quattro), i romanzi epurati dalla retorica, in uno stile asciutto dove la vita e l’arte si confondono anzi peggio coincidono. E da qui il mito, per almeno un paio di generazioni attirate dal coraggio, dalla sfida, dalla dignità ma anche dalla tragedia, dalla distruzione latente che si respira nelle sue opere e in quelle della “Lost Generation” , La generazione perduta, nome questo, coniato da Gertrude Stein.