Discorso di Angelo Scola alla città e la Diocesi, per la ricorrenza di sant’Ambrogio
MILANO – Venerdì 5 dicembre alle ore 18 nella Basilica di Sant’Ambrogio, l’Arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, ha tenuto il tradizionale discorso alla Città e alla Diocesi, in occasione della solennità del Santo Patrono di Milano.
La basilica era gremita, nelle prime file le massime autorità civili e militari della città, i rappresentanti delle Istituzioni e i Sindaci di tutto il territorio in cui si articola la Diocesi di Milano, e poi tantissime persone di ogni età.
La ricorrenza molto gradita ai milanesi quest’anno è stata anticipata di un giorno, dal 6 al 5 dicembre, perchè la festa in calendario di Sant’Ambrogio, cioè è il 7 dicembre, capita di domenica, quando la Chiesa Ambrosiana già celebra l’inizio della quarta settimana del cammino di Avvento.
L’Arcivescovo ha rivolto ai fedeli un messaggio chiaro e per certi aspetti duro, se non ascoltato col cuore. Il suo titolo «Un nuovo umanesimo per Milano e le terre ambrosiane».
«Ambrogio fu dapprima prefetto della città, e poi Vescovo, acclamato e voluto anzitutto dal popolo. Pur nella doverosa distinzione dei due ambiti, gli eventi ecclesiali che vivremo sono anche il simbolo di un’amicizia civica tra istituzioni civili e religiose», spiega l’Abate della Basilica di Sant’Ambrogio e Vescovo ausiliare, monsignor Erminio De Scalzi.
C’è bisogno di un nuovo umanesimo, ha detto Angelo Scola, citando spesso Francesco. Quella attuale è una situazione complessa “Il contesto sociale, politico ed economico in cui Milano si sta preparando ad Expo 2015 appare segnato più dall’incertezza e dalla sfiducia che dallo slancio vitale di chi tende ad una meta in grado di generare benessere condiviso, sviluppo sostenibile, ripresa economica. E si è talora tentati di ricorrere a narrazioni sulla vita della nostra città che indugiano più sugli aspetti disgreganti che su quelli costruttivi”.
Tantissimi i temi toccati, come quello della violenza a cui sono sottoposti ogni giorno cristiani “uomini delle religioni e cercatori di giustizia in Medio Oriente e non solo, alla morte per fame milioni di persone, al riproporsi ininterrotto della tragedia degli immigrati che arrivano alle nostre coste e, per stare ai temi dell’Expo, dell’incremento della povertà anche nelle nostre città, chi di noi non desidera uno scatto di umanità che cerchi di mettere la parola fine a tutte queste dolorose realtà? Tutti sentiamo l’urgenza di un cambiamento, di una novità radicale”.
Poi in un altro passaggio, richiamando ancora il papa dice “Egli indica la strada: rimettere l’uomo al centro. Ecco che si affaccia la parola umanesimo.
Solo se sorge dal di dentro dei ritmi e dei processi dell’attuale travaglio storico si può parlare di nuovo umanesimo. Si deve intendere bene il senso dell’aggettivo nuovo. Il nuovo non è l’inedito ad ogni costo. Piuttosto nuovo è camminare non perdendo l’origine, è un ri-cominciare.”
L’arcivescovo ha voluto ricordare nel suo discorso anche la fecondità della tradizione, dicendo: “caratteristica del cattolicesimo lombardo fin dalla prima età moderna è il suo forte legame con l’umanesimo delle origini, un umanesimo cristiano. Atteggiamento che non solo favorì un impegno religioso, umano, sociale nella vita ordinaria, ma si espresse in diverse opere educative ed imprenditoriali.
L’umanesimo lombardo è fattore di cultura e di socialità, sempre attento all’uomo “intero”, non solo alle sue esigenze spirituali o soltanto a quelle materiali e sociali. Lo dimostra assai bene la gloriosa vicenda della Ca’ Granda. Oppure il cosiddetto “illuminismo” lombardo” (Verri, al Beccaria, Manzoni). Guardando la nostra storia possiamo parlare di un umanesimo della responsabilità: piedi per terra e sguardo volto al cielo”.
Scola, nel suo discorso. ha anche citato un famoso slogan, caro alla pubblicità e cioè, lo stile di vita della “Milano da bere”, che è “diventato il brodo di coltura entro il quale ha preso avvio un processo distorsivo dei meccanismi di riproduzione del capitale sociale e culturale della città che, al di là di ogni giudizio storico o politico, ha trovato drammatica espressione nella vicenda di Tangentopoli”.
Nel discorso di Scola insomma c’è stato un richiamo forte alla bellezza della fede testimoniata in tutti gli ambienti dell’umana esistenza, perchè è il dono più prezioso che i cristiani possano offrire.
Il cardinale Angelo Scola evidenzia poi il “paradosso” di una città in cui gli “abitanti sono senza case” e le “case senza abitanti”.
Il Sindaco di Milano Giuliano Pisapia, presente tra le autorità, interpretava le parole di Scola, come un appello a “superare gli individualismi e gli egoismi che, soprattutto in un periodo di crisi e di difficoltà, rischiano di aumentare”.
Poi commentando il Pontificale del Cardinale Angelo Scola ha affermato: “Questo è il nuovo umanesimo che ci vede uniti nell’impegno per superare ogni discriminazione e dimostrare concretamente l’attenzione verso i più deboli e verso gli emarginati, dando loro, aiuto e assistenza.
Il ‘meticciato’ richiamato in più occasioni dal Cardinale Scola, significa innanzitutto rafforzare il dialogo interculturale e interreligioso per cui siamo impegnati quotidianamente superando quelle divisioni e quelle contrapposizioni che non fanno parte dell’anima di Milano e dello spirito della gran parte dei milanesi”.
Pisapia aggiungeva ancora: “Il discorso dell’Arcivescovo di Milano in occasione di Sant’Ambrogio dimostra la sua attenzione alla realtà del presente, ai problemi, alle contraddizioni delle nostra società, alle difficoltà di causate da una crisi che sembra non finire mai. C’è però anche un segno di speranza, un riconoscimento della straordinaria tradizione ambrosiana, che con le sue virtù consolidate è ancora presente ha fatto di Milano, come dice il Card. Scola una città solidale, aperta e capace di accogliere”.
Sebastiano Di Mauro
6 dicembre 2014