Una critica radicale all’accordo UE-Turchia sui migranti
Il risultato del vertice per la gestione dei migranti tra i 28 leader del Consiglio Europeo e il premier turco Ahmet Davutoğlu di pochi giorni fa ha suscitato non poche polemiche. Hanno fatto scalpore i i tre miliardi che verranno stanziati dall’UE — non si è ancora capito da chi, dato che il metro è la volontarietà — affinché la Turchia gestisca i flussi di persone provenienti dal corridoio balcanico, punto nodale dell’immigrazione verso l’Europa. Colpisce da subito tra gli editorialisti l’abbondanza di argomentazioni che fanno perno sui valori dell’Unione Europea per valutar negativamente l’accordo economico con un paese in cui alcuni diritti e libertà fondamentali difficilmente vengono presi in considerazione. Questa linea di attacco, che qui definirò come ‘valoriale’, negli stessi articoli deve però cedere il passo alla fortissima linea di difesa dei sostenitori dell’accordo che, in risposta, invocano la necessità di gestire il flusso di migranti e le difficoltà nel farlo all’interno della sola Unione Europea. La linea ‘prudenziale’, pur riconoscendo le ragioni di quella ‘valoriale’, ci ricorda che la politica si occupa di interessi ed è altra cosa dalla morale, specialmente per la politica internazionale.
Fin qui, citando la frase biblica dell’Ecclesiaste e la sua punta di malinconia, nulla di nuovo sotto il sole. Ad uno sguardo più attento però ci si accorgerà che le ombre sono annidate proprio lì dove stiamo guardando e che non sono poche. La linea di difesa è colpevolmente debole almeno su due punti. Il primo punto, questo sì sottolineato da qualcuno ma forse per le ragioni sbagliate, è che la Turchia è riuscita a includere nell’accordo una clausola che le permetterà di avere un maggior stanziamento di fondi in futuro, la cui erogazione è legata a circostanze non meglio specificate. Il problema in questo caso non è tanto chi pagherà e quanto, bensì la perdita di potere contrattuale nei confronti di una Turchia che, come ha fatto in passato, gestirà i flussi come punto di forza nelle sedi internazionali. Riprendendo un’espressione che personalmente non amo applicata alle persone, la Turchia aprirà e chiuderà i rubinetti verso l’Europa a suo piacimento ed è questo il vero punto sul quale crolla anche un’argomentazione ‘prudenziale’.
Anche nell’ottica di risoluzione del problema immigrazione a lungo termine questo accordo ha delle falle. È noto a tutti ormai che oltre ai migranti economici e a quelli ambientali (in fuga da territori ecologicamente devastati) i migranti in fuga dalle guerre sono in continuo aumento. In Turchia, per fare un esempio, entrano ogni giorno migliaia di siriani in fuga dalla guerra. È altresì noto che le risoluzioni dei conflitti global, oltre ad essere un obiettivo auspicabile per ragioni ‘valoriali’ è anche in ottica ‘prudenziale’ uno degli strumenti principali per far sì che le persone non siano costrette a scappare dal proprio paese. Se tutto questo è vero allora dare potere politico a un Paese che ha un ruolo ambiguo nella lotta all’Isis, che deve gestire i rapporti diplomatici con la Russia ormai a pezzi, che teme le rivendicazioni dei curdi all’interno, non sembra la mossa più azzeccata in questo momento.
Probabilmente, date le circostanze storiche, non era possibile raggiungere un accordo migliore. Probabilmente è più urgente garantire la sicurezza/pace sociale interna rispetto alle questioni esterne. Probabilmente è limitata una critica totalmente distruttiva, il cui lato propositivo è ingiustificatamente assente. Probabilmente tutto questo è vero, ma rimane uno spazio di incertezza dove la forza delle argomentazioni ‘valoriali’, in un’inedita alleanza con quella delle argomentazioni ‘prudenziali’, esige una soluzione migliore da entrambi i punti di vista.
Paolo Santori
1 dicembre 2015