Seconda parte: Emanuele Aliprandi, esperto del Nagorno Karabakh – Gli interessi politici e internazionali
Domanda: in questa guerra vincono gli interessi geostrategici ed economici? La vita umana sottoposta ad interessi internazionali?
Risposta: Per capire questa guerra va fatto un passaggio fondamentale, è necessario chiarire due equivoci di fondo. Primo il Nagorno Karabakh attuale non è frutto di una guerra, ma nasce da un processo giuridico democratico legale, come dimostrano le cronache di allora. Secondo, gli Armeni non hanno occupato il territorio: quando l’Unione Sovietica si disgrega e dopo i tragici fatti dell’87-88, dopo un breve periodo di quiete, la tensione rinasce nel 1990, solo ed esclusivamente per problemi politici interni all’Azerbaijian. Il 30 Agosto del 1991 la Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaijian esce dall’URSS e commette un grande errore politico e giuridico. Nel mese di aprile del 1990, infatti, era stata varata una legge per salvare il salvabile e per far si che ci fosse maggiore trasparenza nei processi di scomposizione dell’Unione Sovietica. La legge consentiva a regioni facenti parte di Repubbliche ex sovietiche, e che volevano staccarsi dall’URSS, se c’era una regione autonoma ben identificabile, questa poteva decidere se seguire o meno la Repubblica nella secessione: quindi il Nagorno era leggittimato da una legge sovietica a seguire la sua strada. Il 30 Agosto l’Azerbaijian dichiara di uscire. Gli Armeni del NK si trovano servita su di un piatto d’argento un’occasione d’oro e dichiarano subito non voler seguire l’Azerjaigian. Gli Azeri insistono affermando che non vogliono avere più niente a che vedere con l’Urss. La logica e la correttezza vuole a questo punto che se rinunci all’esperienza sovietica, rinunci anche al “regalo” di Stalin di qualche decennio prima, cioè rinunci al Nagorno Kharabakh. Anche la Corte Costituzionale di Mosca respinge le pretese dell’Azerbaijian, che si attivò per costringere il Nagorno a restare con Baku: non avevano più nessun potere decisionale su questa questione (nov. 1991), e per leggerezza o presunzione, o forse perché pensavano che mai il Karabakh si sarebbe permesso di richiedere la sua indipendenza. Se invece, seguendo percorsi giuridici validi, avessero sottratto l’autonomia al NK tolto prima della scissione, avrebbero potuto essere nel giusto. Il Soviet del NK decide, e aveva tutto il diritto di farlo, di rimanere con Mosca. Il Referendum per l’autonomia del NK viene votato da tutta la popolazione armena sotto i bombardamenti: il successo del referendum fu a maggioranza schiacciante, certificato anche da osservatori internazionali. Il 26 Dicembre ci sono le elezioni politiche, il 6 gennaio 1992 nasce nuovo il nuovo Stato, che però non viene riconosciuto. Neanche dall’Armenia che non può precludere la sua possibilità di trattativa futura con la Comunità internazionale potendo sembrare “aggressore”. Ovviamente la “caviar diplomacy” ha sfoderato tutte le sua armi persuasive. Il 30 gennaio del 1992 l’Azerbaijian attacca il Nagorno Karabakh: una guerra durata due anni. Gli Armeni sono pochi, mal equipaggiati, si dipingono una croce bianca sui vestiti o sui veicoli a disposizione, non hanno le divise. Al contrario gli Azeri sono in tanti, armati e ben equipaggiati. Molti sono però mercenari, ceceni, afghani… e questo sarà un problema. Gli Armeni difendono strenuamente quel fazzoletto di terra che hanno conquistato insieme agli Armeni della Diaspora, parlano tutti la stessa lingua, sono anche disperati. Ricordiamo che in Armenia c’è stato il terremoto, la sua centrale nucleare è ferma, non c’è luce, non c’è il riscaldamento, gli ospedali sono di fortuna, il Paese è al limite dell’estinzione, non è più questione del NK, ma di sopravvivenza. Se è vero che gli Azeri sono tanti, sono anche in conflitto tra loro per questioni politiche, per via dei mercenari diversi tra loro, per lingua, ideali, per problemi di tattica militare, a differenza degli Armeni che sono per giunta anche montanari. Pian piano riescono a ribaltare situazione. Tappa fondamentale è la conquista di Shiushi, città posta in cima a una montagna, che domina la capital Stepanakert. Lanciare razzi da lì è un gioco da ragazzi. Un commando armeno scala la parete a strapiombo cogliendo di sorpresa gli azeri. Cessano bombardamenti, il corridoio Lachin si libera permettendo per la prima volta nella sua storia al Nagorno Karabakh di attaccarsi all’Armenia. Arrivano rifornimenti, uomini, è un importante cordone ombelicale,la situazione cambia. Se nel 1988 il NK è circondato da tutto il territorio azero, nella primavera del 1992 l’operazione russa “Ring” voluta da Gorbaciov dearmenizza anche la regione di Shahumian. Gli Azeri nell’estate del 1992 progrediscono da nord e scendono, ma nel 1993 gli Armeni conquistano Shiushi, liberano Lachin e creano una zona cuscinetto che si estende fino 1994, quando poi la diplomazia internazionale li ferma: i turchi si stanno schierando, l’Iran ha troppi interessi economici con l’Azerbaijian (anche se sono comunque amici degli Armeni). Gli Armeni non arrivano a Baku. Il cessate il fuoco cristallizzala situazione. Il Nagorno Karabakh passa dai 4400 chilometri quadrati di ieri agli 11mila di oggi per cosa? Se l’Azerbaijian stava ferma non succedeva nulla. Guerra inutile.
Domanda: tutto questo pe un piccolo fazzoletto di terra montuoso?
Risposta: Il NK è famoso per tappeti, albicocche, formaggi, pascoli. L’Azerbaijian produce 9 miliardi di barili di petrolio l’anno. E’ evidente che ci sono interessi economici geopolitici: il petrolio del Caspio, corridoi di sfruttamento dell’oro nero. L’Occidente è troppo timoroso. Perché non c’è pronuncia assoluta sul Genocidio degli Armeni? Perché Ankara “proibisce” ad Obama di celebrare il Genocidio chiamandolo con il suo nome? Forse a causa di una base militare NATO in Turchia? Il Gruppo di Minsk? Di accordi nemmeno l’ombra, così come tutti gli altri tentativi: Parigi, Key West, Madrid. L’unico a vincere può essere il buonsenso dei due Presidenti, ma solo con un percorso di ascolto reciproco e di corretta considerazione dei fatti, in una parola della verità.
Aliprandi ha approcciato l’argomento in seguito ai suoi studi sul Genocidio. 15 anni fa un viaggio in Armenia dove visita il memoriale del Genocidio, tragico, austero come tutti i memoriali di olocausti e genocidi. Non sapeva nulla sull’argomento, o quasi. Tornato a casa cerca sull’Enciclopedia storica qualcosa sull’Armenia e sul Genocidio del 1915. Su milleduecento pagine di enciclopedia, come si usava fare all’ora, non una riga. Continua a documentarsi, ne nasce un libro “Storia del Genocidio armeno raccontato da giornali italiani dell’epoca”: viene fuori anche il ruolo della Germania nel Genocidio e sul piano di sterminio messo in atto da ufficiali tedeschi. Prove generali di quello che avverrà. Sul Genocidio armeno la Turchia oggi come ieri ha sempre fatto valere “le sue carte”, per la sua posizione di forza come membro NATO strategicamente importante, e per la sua economia. E tu Europa che vuoi fare, si domanda Aliprandi: far finta di niente? In Italia non c’è negazionismo, negli Stati Uniti Obama si è visto “costretto” ad usare l’espressione in lingua armena Metz Yeghern (“grande male”, ndr), al posto della parola Genocidio: come dire shoah in ebraico e non olocausto. E’ evidente il peso politico ed economico di grandi potenze che influenza il riconoscimento del Genocidio e la questione Karabakh. Inizialmente il Dott. Aliprandi pensava che la questione del Nagorno Karabakh fosse una compensazione morale per gli armeni, li hanno trattati male, era giusto che fosse così. Ma a scavare, il percorso di autodeterminazione del NK era assolutamente rispettoso della legislazione dell’epoca. Interessi politici ed economici mondiali non porteranno ad una soluzione. Turchia grande attore per via della NATO, della sua economia, della religione.
Domanda: azeri e armeni favorevoli alla soluzione pacifica, ma non ognuno ha una posizione distinta. Davanti alla debolezza dei meccanismi istituzionali internazionali, unica via d’uscita potrebbe essere la responsabilità dei dirigenti delle parti in causa? Oggi i negoziati a che punto sono?
Risposta: L’ Azerbaijan ha la certezza che il NK non ritornerà ad essere azero. Il riconoscimento dell’indipendenza del paese è bloccato da tutti i fattori che abbiamo analizzato, sembra che forse l’Uruguay lo riconoscerà (è stato il primo Paese membro ONU a riconoscere il Genocidio, ed è uno stato palesemente “fuori dagli schemi”, ndr), qualche stato federale americano l’ha riconosciuto, il parlamento dei Paesi Baschi l’ha fatto, come l’Ossezia e l’Abkazia. Manca il riconoscimento di primo livello: il riconoscimento da parte delle Nazioni Unite. Anche l’Armenia ha deciso di non riconoscere il Nagorno Karabakh per non compromettere una futura trattativa, ritengo sia un comportamento corretto, che vuole lasciare aperta la porta del dialogo. Le trattative tra Azerbaijian e Armenia in ambito OSCE sono finora un flop. Averle fatte entrare nel Consiglio d’Europa contravvenendo alle regole non è servito a nulla. Fiumi di parole per un nulla di fatto. Il NK è uno Stato che esiste ma non esiste. Ha tutto, banca, Corte Costituzionale, Parlamento, Università, è uno Stato piccolo ma organizzato. Cosa manca? Il coraggio dei “grandi”. Le racconto un “istruttivo aneddoto” sulle modalità di ingaggio internazionale degli azeri. Un certo Safarov , ufficiale azero viene invitato a Budapest per un corso di inglese, corso al quale partecipano anche due militari Armeni. Un giorno Safarov compra un ascia ed entra di notte nella stanza del collega armeno e lo decapita lasciando vivo il compagno di stanza di un’altra nazionalità. Nel 2012 Alyiev, Presidente Azero, va in Ungheria alla quale dichiara grande amicizia e lealtà. Pochi mesi dopo l’Azerbaijian compra dall’Ungheria titoli finanziari, che costituiranno una perdita finanziaria secca. A Settembre Safarov viene estradato, dopo che era stato arrestato e dichiarato colpevole di omicidio. Gli ungheresi fanno la figura che fanno, a livello mondiale suscitando proteste a tutti i livelli: Intanto il feroce Safarov rientra nel suo paese e viene accolto da eroe, anche premiato.
Domanda: Perché tutto questo odio?
Risposta: L’Azerbaigian sembra una repubblica, ma è di fatto una dittatura. La sua Storia è recente, nasce con i pozzi di petrolio del Caspio. Mancanza di identità? Forse. Fin dall’inizio dell’Unione Sovietica gli azeri hanno cercato di costruirsi un’identità che non avevano, una storia che potesse aggregarli, raccontare qualcosa di coordinato. Mettono in campo mezzi e risorse per costruire una storia che non esiste. Hanno bisogno del nemico, costruito ad arte, per raccontare falsità e per accrescere consensi. La popolazione azera è turcofona, ma esistono anche comunità di altre etnie – non armene – che faticano ad inserirsi. Il problema è che da più di vent’anni comanda sempre la stessa famiglia. Come si regge un sistema che si sviluppa da proventi petroliferi e super armamenti? Creando all’interno un nemico, “l’armeno che mi ha rubato la terra”. Tornare indietro è difficile, l’Azerbaijan non può oggi pretendere che si possa stare tutti nella stessa casa se fino a ieri hanno si è fatto altro che dire che il nemico sono gli Armeni e che vanno cacciati dovunque siano nel mondo. L’Azerbaijian ha fatto la stessa cosa dell’Isis oggi e dei talebani ieri: distrutto le croci di pietra armene (khachkar, ndr) di epoca persiana per fare una spianata per campo di tiro militare.
Domanda: soluzioni?
Risposta: O la questione rimane così e si va avanti per anni con morti e tentativi di incursione, abbattimenti di elicotteri, senza che nessuno dica nulla, soprattutto tra i grandi confinanti, o si apre una guerra nel Caucaso, che però sarebbe devastante. Tutti hanno missili s300. L’Azerbaijian minaccia di colpire la Centrale nucleare armena, anche se improbabile perché sta vicino al confine turco e si possono immaginare le conseguenze. A sua volta l’Armenia minaccia di bombardare le pipeline azere, anche questa soluzione poco attuabile, tutti avrebbero da perderci. Il ricatto politico dell’Azerbaijan è il petrolio. Dalla Libia non arriva più niente, dal Medio Oriente quasi niente, se scoppia guerra gli uni o gli altri fermano petrolio. La Turchia si muoverebbe, la Russia che ha accordo di partenariato con Armenia pure dovrebbe schierarsi. Creare un ulteriore focolaio di tensione è un rischio troppo grande. Una terza guerra mondiale neanche.
Dall’altra parte nessuno dei presidenti contendenti dirà “va bene hai ragione tu”, ma tutti e tre i presidenti (azero, armeno e del NK, ndr) si devono alzare dal tavolo di pace avendo dato ognuno qualcosa, dove non ci sono perdenti. Solo se ci sarà accordo tra i presidenti, finirà il contenzioso. Sarebbe una bella prova di forza politica, per tutti gli attori. Il NK non può ritornare alla sua connotazione iniziale di Repubblica autonoma, isolato dal contesto armeno. I territori a sud sono quasi disabitati, un domani se si volesse, e si sta implicitamente lavorando su questo con i “principi di Madrid”, si potrebbe renderli azeri. Il Nagorno Karabakh deve essere contiguo all’Armenia, incorporato o meno non importa, questo lo deciderà la sua popolazione, ma deve esserci la contiguità. Arzakh è Nagorno Karabakh. Importante che la parte a occidente rimanga armena. Se si vuol chiudere un accordo che si restituiscano delle porzioni di territorio. La comunità internazionale cerca di mediare, forse troppo tiepidamente, ma se l’Azerbaijian, che è sempre sul punto di trovare una soluzione, il giorno dell’accordo cambia carte in tavola, non si metterà mai un punto fine. Per gli armeni non c’è interesse a proseguire questo stillicidio. Il Paese spende un sacco di soldi per stare al passo con l’Azerbaijian e questo pesa molto sulla sua economia distraendo risorse importanti per progetti che la farebbero crescere in modo costruttivo. In questo contesto l’esempio del Kossovo dovrebbe essere illuminante. Sono stati bombardati i ponti di una città per difendere gli albanesi del Kossovo affinché avessero loro identità, l’autodeterminazione, l’indipendenza, nonostante la loro percentuale fosse minore, raffrontata a quella degli Armeni nel NK e per i quali non si è fatto nulla. La diplomazia internazionale è spesso ipocrita. Ci vorrebbe un po’ più di attenzione per la problematica di autodeterminazione, come si è fatto anche per il Sud Sudan, che oggi è parte dell’ONU. Perché gli stati hanno paura di ricevere un funzionario del NK? Per non avere problemi con Azerbaijian e Turchia? Finora non si può che affermare che ha vinto la diplomazia del caviale che usa gli strumenti più biechi per farsi propaganda, come per esempio strumentalizzare la tragedia di Khojaly (di cui abbiamo ampiamente parlato qui, ndr)
L’Unione Europea dovrebbe cercare di avere la forza di sostenere questioni etiche e morali al di là dei principi economici, anche perché non possiamo fondare l’identità di un intero continente sulle bugie di qualcuno. Sono consapevole che anche questa è politica, Machiavelli insegna: ma l’Europa dovrebbe prendere decisioni scomode ma che possono produrre scenari ampiamente positivi. Spesso ci si nasconde la testa sotto sabbia, come nel caso di Sebreniza. Per l’Armenia stessa cosa: ad un genocidio evidente e storicamente provato, non si può rispondere con finta diplomazia che è sostanziale appoggio delle tesi negazioniste: è necessario avere più coraggio, anche a costo di rinunciare ad equilibrismi, che spesso scadono nel macchiettismo. Per il Nagorno Karabakh vale la stessa cosa: armeni, non armeni, non importa hanno diritto dal punto di vista giuridico di vivere indipendenti nella loro terra. Perché qualcuno si, e altri invece sono costretti a fare i conti sui barili del petrolio del vicino corruttore?
di Jacqueline Rasterlli
18 marzo 2015