L’otto marzo: le donne nel lavoro

Il 2022 è stato più volte descritto come l’anno della ripresa, dopo i due anni precedenti caratterizzati soprattutto dal Covid. Ma la pandemia ha lasciato profonde fratture in vari ambiti che vanno dal sanitario a quello economico. Insieme a quest’ultima vanno ricordati anche i conflitti geopolitici in corso e la crisi energetica successiva all’invasione russa dell’Ucraina. Nel panorama globale appena descritto, le disparità di genere aumentano, rallentando i processi avviati fino ad oggi per raggiungere la parità. Già in un recente rapporto dell’Onu è possibile verificare come nel 2022, nonostante l’importante ripresa, la partecipazione delle donne nella forza lavoro è rimasta al di sotto dei livelli pre-pandemici in 169 paesi, passando dal 51,8% del 2019 al 50,8% attuale. Inoltre, a causa della Pandemia, le donne hanno perso un reddito stimato di 800 miliardi di dollari e si stima che, nei prossimi anni, circa 383 milioni di donne e ragazze vivranno in condizioni di estrema povertà rispetto a 368 milioni di uomini e ragazzi. Elementi questi che sono alla base dell’aumento del divario di genere, rispetto al 2019, in circa 114 paesi. E secondo il Global Gender Gap Report 2022 ci vorranno ancora 132 anni per colmare il divario di genere globale.
La situazione in Italia
Il nostro Paese, secondo il Global Gender Gap Index 2022, si colloca al 63° posto al mondo e al 14° posto in Europa per parità di genere. Il quadro critico dell’Italia va comunque inserito nel contesto internazionale delle politiche volte a contrastare la disparità di genere: dagli obiettivi prefissati nell’Agenda 2030 alla Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026, posti per l’Italia a livello sovranazionale, fino alle opportunità di sviluppo offerte grazie agli ingenti finanziamenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
I dati
Secondo il rapporto dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP), i dati Istat mostrano a settembre 2022, tassi di occupazione di uomini e donne ancora distanti (69,5% uomini e 51,4% donne), con un gap di genere pari al 18%. In parallelo la sfera della non partecipazione continua al lavoro vede primeggiare le donne: 9,2% il tasso di disoccupazione rispetto al 6,8% degli uomini mentre i tassi di inattività sono al 43,3% contro il 25,3% degli uomini. Il tema dell’inattività delle donne, risulta ancora essere legato alle questioni inerenti la cura familiare. I dati Inps del medesimo periodo invece, ci riportano lo scenario di una crescita del lavoro femminile all’insegna della precarietà e della debolezza contrattuale, del regime orario ridotto e conseguentemente della minore redditività: nel primo semestre dell’anno risultano attivati circa 4 milioni e 269 mila contratti di cui solo il 41,5% sono donne. La quota di contratti stabili incide per il 20% su quelli maschili e solo per il 15% di quelli femminili.
Anche nel più recente rapporto della Cgil Roma e Lazio, sui dati Inps, si ha un quadro chiaro del gap di genere nell’ambito lavorativo, in particolare sulle retribuzioni: gli operai guadagnano stabilmente il 65% in più delle donne, i quadri il 13% e i dirigenti il 35%. Si assiste invece ad una lieve riduzione per il settore impiegatizio dove il gap passa dal 48% al 39%.
Le minori retribuzioni delle donne vanno ricercate soprattutto nella maggiore incidenza del part time rispetto agli uomini, nelle minori settimane retribuite e nelle dinamiche settoriali. Il 62,2% delle operaie e il 37,6% delle impiegate ha un part time, contro il 32,5% e il 15,8% degli uomini. Anche tra i quadri vi è una differenza notevole, del 5,5% contro l’1% e persino tra i dirigenti il part time riguarda il 3,7% delle donne contro l’1,6% dei dirigenti uomini.
Le donne che hanno 52 settimane coperte dalla retribuzione sono il 47,1% tra le operaie e il 65,3% tra le impiegate, contro il 59,8% e il 74,1% degli uomini. C’è, tuttavia, una parte del gap salariale non legato a parametri orari o alla stabilità contrattuale e che è molto evidente nell’1% dei lavoratori più ricchi: i dirigenti. Nel 2022 un dirigente a tempo indeterminato e full time, tra i 35 e i 39 anni, ha una retribuzione superiore del 43% rispetto ad una sua collega, oltre 33 mila euro. Un divario che su questa fascia di età è difficilmente spiegabile con gli avanzamenti di carriera.
I dati dell’Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato dell’Inps, registrano invece nel complesso un gender pay gap di 7922 euro. La retribuzione complessiva di chi lavora in Italia è di 22.839 euro: per il genere maschile è di 26.227 euro contro i 18.305 euro del genere femminile.
Possibili soluzioni
Le numerose ricerche condotte nell’ultimo periodo permettono di avere un quadro chiaro della situazione, individuando i fattori critici determinanti che influenzano il bilancio di genere nella nostra società. Ma nonostante ciò, uno dei problemi principali riscontrati dai ricercatori è quello di non avere accesso ad altrettante statistiche importanti come quelle sul lavoro retribuito e quello di cura all’interno del nucleo familiare, in modo tale da poterli incrociare con i dati relativi alla distribuzione dei redditi. Quindi, di primaria importanza è sensibilizzare i governi e gli enti locali alla creazione di banche dati che tengano conto di questa differenza di genere. Una consapevolezza che non condurrà ad un miglioramento della situazione se non viene accompagnata anche da una forte volontà politica e di leadership, che come indicato dall’European Institute for Gender Equality, rappresenta il più importante e indispensabile “fattore abilitante” per preparare e sviluppare il bilancio di genere.