Mark Fisher: l’ultimo intellettuale possibile

Nel suo celebre saggio Realismo Capitalista, Mark Fisher si diceva convinto che è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo.
L’incipit di quel libro, oltre ad attingere al pensiero sempre lucido del filosofo Slavoj Zizek, si affidava anche alle immagini dell’altrettanto immortale film di Alfonso Cuarón Figli degli uomini. Ciò per definire quello che per Fisher era, da un punto di vista dottrinale, il realismo capitalista, ovvero la sensazione che non solo il capitalismo sia l’unico sistema politico ed economico oggi percorribile, ma che sia impossibile anche solo immaginare una alternativa coerente.

Fisher, è cosa nota, si toglierà la vita a poco più di 48 anni, nel gennaio del 2017. E se in Figli degli uomini il senso di scarsità su cui fa leva il tardo capitalismo si era tradotta in vera e propria assenza di nascite, cosa accadrebbe se a mancare all’improvviso fossero gli intellettuali come il fondatore dell’iconico blog k-punk?
Per rispondere a questo senso di penuria, la casa editrice Minimum Fax ha deciso di pubblicare in italiano l’intera fortuna critica del Prof che fu di stanza al Goldsmiths College. E dopo aver dato alle stampe la serie k-punk, in cui Fisher commentava la società contemporanea, l’ultima uscita è dedicata proprio alla serie di lezioni tenute prima di morire.

Desiderio Post-Capitalista è infatti uno straordinario documento di riflessione per tenere unite le differenti direttrici del pensiero fisheriano, una serie di lezioni che per genesi e attitudine potrebbero ricordare quelle di Italo Calvino ad Harvard, ma che per afflato e struttura somigliano più a un vero e proprio testamento.
Che desiderio è il desiderio post-capitalista? Per dare risposta a questo interrogativo, Fisher si affida al francofortese Herbert Marcuse, alla letteratura femminista di Gibson-Grahm, agli immaginari sul post-lavoro di Nick Srnicek e Alex Williams.
In questo commovente botta e risposta tra docente e studenti, il realismo capitalista si dimostra possibile solo se implica un arretramento della coscienza collettiva.
Dunque, per Fisher, immaginare degli spazi economico-sociali nuovi sarà possibile soltanto attraverso un percorso di autocoscienza che riaffermi una autonomia nei confronti del capitale.
Siamo pienamente nella dialettica bisogno/soddisfacimento marxista — che comunque l’autore tende a rianalizzare in uno dei capitoli migliori del libro —, ma siamo anche dalle parti di Bauman, quando afferma che solo consumando possiamo sentirci pienamente all’interno della società di massa.
Ma se la realtà si riduce a nient’altro che a una reificazione del desiderio, dovremo senz’altro accedere a forme di relazione nuove, che ci facciano tornare a una dimensione puramente umana.
Dovremo saper riconoscere la FOMO, la penuria, il senso di scarsità su cui si basa il post-fordismo, andare oltre lo spettro della società dello spettacolo di debordiana memoria per accedere a tempi e forme del tutto nuove. Il resto, per dirla con Hölderlin, lo fonderanno i poeti.
A patto che ne continuino a nascerne. E a patto che Fisher non rimanga l’ultimo intellettuale possibile.