Marco Caprai, Montefalco-Mongolia A/R

Curioso, attento, paziente, acuto, vigile, pragmatico, disponibile ma energico Marco Caprai si muove sorridente all’interno del “salotto” dell’azienda agricola, insieme alla sorella Arianna con cui è l’intesa è profonda.
Il viale d’accesso dritto come un fuso, conduce in cima alla collina dove si trova la “cantina” e l’Oval. Mi piace identificare cosi questo spazio rigoroso ed elegante, dove ogni dettaglio è una carezza psicologica rivolta al visitatore per invitarlo a conoscere i segreti del vino, qui vissuto come nettare degli dei. Amante e non solo a parole della storia e della storia dell’arte, da pochi giorni ha preso il via grazie alla Committenza a firma Arnaldo Caprai, il restauro di una parte del ciclo di affreschi di Benozzo Gozzoli “Grandi Francescani” nella Chiesa di San Francesco a Montefalco.
Marco è un solido riferimento per chi lavora all’interno di questa galassia dove la versatilità, dote rara e preziosa, è una componente indispensabile per chi ha la grande responsabilità di gestire imprese dai contenuti diversi come in questo caso, o come nel caso di Andrea Margaritelli che ben conosciamo, e che ha il quartier generale del grande Gruppo multibusiness di famiglia ad una manciata di minuti da qui, a Miralduolo di Torgiano. Evidentemente l’ Umbria è terra non solo di santi anche di imprenditori. La sintonia è profonda.
Il bernoccolo ereditato dal padre Arnaldo, iniziatore di questa magica avventura, che in gioventù si occupava di un settore totalmente diverso. Era infatti uomo di fiducia della Paoletti, specializzata nella realizzazione di corredi con la sede vicino a Grosseto, ma provava comunque una grande attrazione per la sua terra.
La storia è coinvolgente. A sentire il figlio snocciolarla sembra tutto naturale e quasi ovvio. A concretizzare il sogno nel cassetto, fu fatale l’incontro con un ricco milanese da cui il padre rilevò i 40 primi ettari di quella che diventerà un’azienda emblematica nel proprio settore.
La frequentazione e la collaborazione con i Cinelli Colombini di Montalcino, signori e soprattutto Signore del vino, aprì un nuovo iter che, arricchito del proprio bagaglio culturale, si presentò fin dagli esordì ricco di soddisfazioni e di successo. Sboccia la Arnaldo Caprai che ora vanta il triplo degli ettari di partenza. Dicevamo della versatilità, che è la chiave di volta, qui è di casa. Il padre infatti pur aprendo un nuovo settore continuò a gestire il suo profondo legame con il mondo del tessile. Caprai junior, che afferma che l’agricoltore sia il vero architetto del paesaggio, insieme ad Arianna e Luca, i suoi fratelli, si concentrerà invece su un’impresa impossibile, connotare cioè il territorio con una produzione identitaria. Un vitigno autoctono risalente al Rinascimento forni l’occasione che colta al volo diede il là per la rinascita del il Sagrantino.
Ottimo narratore, mentre parla gli brillano gli occhi, percepisco chiara la sua passione, ed è un piacere ascoltare il suo punto di vista che tratteggia la storia del vino che è tutt’uno poi con il carattere del nostro Paese, in grado di rialzarsi dalle ceneri… Incredibile infatti la lungimiranza della famiglia di puntare sul vino dopo lo scandalo del metanolo che aveva buttato alle ortiche immagine e fiducia del vino e dell’Italia. Le tante cantine diffuse e gestite per lo più familiarmente dopo un’ omologazione subita grazie alla grande distribuzione appiattirono la produzione, la qualità diminuì per poi sfociare tragicamente nella atroce faccenda del metanolo. Il vino è pericoloso per la salute! Ed è di qui che si riparte!
“E pensare che nessun prodotto ha il fascino e le valenze del vino e il suo carattere sta nella diversità che non ne intacca il timbro”, e continua Marco “se fosse tutto uguale sarebbe come la coca cola. Ora invece ci sono addirittura agenzie che gestiscono il settore del turismo degli appassionati del vino, che ricevono emozioni, piacere, qualità precipue del vino life style. “Non esiste in effetti il turismo del farro, o del grano saraceno o di qualsiasi altro prodotto.” Il fattaccio del metanolo che ha mietuto trenta vittime, fu il punto da cui partì la moralizzazione del settore che vantava eccellenze purtroppo schiacciate da quanto accaduto, ma in realtà sanissime. Si ripartì con umiltà e determinazione dal valore intrinseco del vino, il suo carattere e la sua diversità. E il grafico si impennò. In una manciata di anni anche grazie all’amore, alla passione e alla cultura di un certo Luigi Veronelli, che usò nuovi strumenti rivedendo tutta la comunicazione ad iniziare dall’etichetta. Chiamò grandi artisti, designer e fotografi a rifare l’immagine, ai contenuti ci pensavano i produttori. Non solo si recuperò il terreno bruciato ma si toccarono vette mai raggiunte prima.
I Clienti ora sono in tutto il mondo e a dir il vero i 130 ettari possono a malapena soddisfare, ma e il tessile? Il know how di Arnaldo? Quella passione intanto era sfociata in una collezione di oltre ventimila pezzi tra merletti e ricami, un patrimonio enorme per qualità e quantità che racchiude 500 anni di storia. La collezione sta facendo il giro del mondo. Da questo pozzo di idee nacque anche la Cruciani con il suo braccialettino di filo, un oggetto “cult” semplice e connotante, che all’interno dell’Oval fa capolino su un vassoio d’argento, lifestyle Cruciani.
“Mio padre amava ricostruire e gestire le filiere” sottolinea Marco. I corredi della Paoletti di Grosseto, Castiglione della Pescaia certo, ma risalì alla filatura, al processo della tintura fino a ricomporre l’intera filiera non solo del filo ma anche del cashmere che non può che essere d’eccellenza: quello che ha come componente di base la lana delle caprette degli altipiani, molto molto alti e aspri, della Mongolia.
Grazie ad una join venture con i pastori che vivono ad altissima quota è possibile reperire quel tipo di prodotto dovuto alle temperature molto rigide, infatti più il pascolo è in condizioni estreme, a temperature ai limiti della sopravvivenza, e più il pelo è sottile e soprattutto lungo. E il parallelo con la viticoltura è d’obbligo.
Grazie al suo “cuore imprenditoriale” umbro questo prodotto parte per tutto il mondo per essere impiegato da tutte le più grandi firme del fashion mondiale. Con un volo pindarico che si compie praticamente ogni giorno siamo qui alle falde di Montefalco terra del Sagrantino. Non si potrebbe creare una simile astronave però se non si possedesse quella cultura che ha reso unico al mondo il nostro Paese.
Ed è con grande piacere che apprendo che Plinio il Vecchio fu l’autore della I mappatura del vino italiano: una fascia di produzione lungo il tirreno da Roma fino alla Sicilia, quindi la costiera fino allo Ionio e infine non la Toscana non l’Umbria ma solo Bevagna e il grosso della produzione al nord ad Aquilea che, lasciandomi completamente sbalordita, esporta ancora oggi di fatto 9 milioni di ettolitri e si colloca tra il VI e il VII produttore del mondo.
Partiva da qui il vino che Roma destinava alle proprie armate, ed era in grado di distribuire le stesse razioni in tutto il mondo. “Era come un enorme supermarket i cui depositi erano collocati in Veneto e da lì partiva, percorrendo anche l’Adriatico fino alla Palestina e il Nord-Africa. A Bevagna ci mette il punto Plinio.” Ora segnalerebbe Montefalco e Torgiano, le uniche due zone IGP in Umbria.
Arnaldo quindi dicevamo, lasciate le redini in ottime mani, si dedica al mondo della cultura nel tessile e con pazienza costanza e direi di più, con determinazione raccoglie la ricca e variegata collezione legata al filo che arriva ad essere oggetto di attenzione in tutto il mondo. “La passione si sente” recitava la mai troppo rimpianta Radio 24 di Giancarlo Santalmassi.
E a proposito di corredi, possiede un corredo, permettetemi il bisticcio, davvero unico, 15.000 volumi sulla storia del costume. Cosi vennero alla luce le mostre, coadiuvati da un gigante come Civita, allora guidata da un uomo della statura di Gianfranco Imperatori.
La prima esposizione a Trieste e poi un po’ in in tutto il mondo, a Perugia con “il filo di Arianna ”, mentre la Fondazione di Foligno che ha sacralizzato il Sagrantino, nato come vino da messa, ora presenta un comparto di assoluta eccellenza, Oggi convoglia la produzione di 67 aziende nel consorzio ma i produttori sono 136. La luce l’ormai nobile vitigno, la vide però nel Cinquecento, epoca d’oro in sé e di Montefalco grazie al grande Benozzo Gozzoli e al Perugino.
E Montesquieu? C’entra anche Montesquieu, ma come ve lo dirò la prossima volta.
Qui di seguito un estratto dei principali riconoscimenti ad iniziare dal 2016 con TOP 100 di Wine Spectator, la più influente testata sul vino,
2015 Premio Imprese per innovazione Menzione Speciale EXPO 2015
2013 viene certificato dall’ente CSQA divenendo il primo protocollo di sostenibilità territoriale in campo vitivinicolo
2012 Legambiente nell’ambito del premio “Innovazione Amica dell’Ambiente”
2005 – Sagrantino miglior vino d’Italia
1989 – inizia l’avventura del Sagrantino.