Del corpo e dell’anima, la pittura “scandalosa” di Carol Rama

A un anno dalla scomparsa, Torino celebra una delle sue figlie più geniali con un’imponente retrospettiva che conta circa duecento opere, curata da Teresa Grandas e Paul B. Preciado e realizzata in collaborazione con il MACBA di Barcellona. Alla Galleria d’Arte Moderna, fino al 5 febbraio 2017.
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TORINO – Torino è una città elegante, magica, esoterica, massonica, intellettuale, moderna: qui – prima che a Ferrara -, è nata la metafisica di De Chirico, qui sono nati il cinema e l’automobile italiani, qui Nietzsche fu colto dalla follia che lo porterà alla morte e Rousseau ebbe uno dei suoi raptus erotici, qui è stata pensata e diretta l’Unità d’Italia, qui ha sede il Museo dell’Artiglieria, qui ha abitato (e giocato) Gigi Meroni. È indubbio che Torino sia una città fuori dell’ordinario, e non stupisce che anche Carol Rama (al secolo Olga Carolina Rama, 1918-2015), eclettico personaggio dell’arte italiana, abbia avuti i natali all’ombra della Mole.
Un’artista che non ha avuti eguali in Italia (imitatori sì, ma di ben altro spessore), difficilmente etichettabile, profondamente femminile in questo suo restare enigmatica anche sulla tela. La passione secondo Carol Rama – la mostra che la celebra -, punta l’attenzione su questo sentimento femminile per antonomasia, che diventa il fil rouge per scoprire l’anima della pittura di una donna sopra le righe.

Carol Rama fu una donna dalla bellezza enigmatica, come appare nelle fotografie degli anni Quaranta, decisamente non comune, nel cui sguardo brilla la spregiudicatezza delle persone veramente libere, che in Italia a ben guardare sono sempre state poche. Non riesce difficile pensare a lei come a una Zuleika Dobson dell’arte, i cui dipinti sono autentici giochi di prestigio, dove il corpo nasconde la mente, a sua volta nascosta dal peccato. Il suo approccio artistico da autodidatta è marcatamente viscerale e insieme meditato, con profonde implicazioni psicologiche e un sottile dolore in sottofondo; ciò fa sì che, al fianco di Louise Bourgeois e Niki de Saint Phalle, Carol Rama sia stata una delle artiste più espressive dell’intero Novecento, in equilibrio fra l’Art Brut e l’Astrattismo, le correnti maggiormente in sintonia con la sua urgenza espressiva: la sua esistenza è stata segnata dal suicidio del padre e dalla malattia psichiatrica della madre, provata dalla vedovanza. In conseguenza di ciò, la sua pittura diviene mezzo di riflessione e accettazione dello smarrimento interiore, ma anche il punto di partenza per affermare la propria personalità insofferente alle costrizioni e alle ipocrisie borghesi, anche in senso universale. Il corpo come strumento di piacere, come mezzo di espressione e di godimento della passione, è stato al centro della sua indagine artistica, come ebbe a dire lei stessa: «Non ho avuto maestri pittori, il senso del peccato è il mio maestro. Il peccato è una trasgressione del pensiero». Un’affermazione che racchiude il carattere istintivo e sopra le righe della sua pittura, tradotta sulla tela, in particolare, con Dorina (1945), dalla forte carica emotiva e provocatoria, sospesa fra il Simbolismo di Franz von Stuck e il Decadentismo di Aubrey Beardsley, del quale esprime la medesima sublime crudeltà.

Nel 1945 Carol rama è già un’artista completa, i suoi esordi risalgono al decennio precedente: gli anni Trenta furono per l’Europa un periodo ambiguo, di tragica e affascinante decadenza; nonostante la pesante cappa totalitaria che avvolse la Germania nazista, è proprio da qui che s’irradiò un clima culturale moderno, non scevro di ambiguità, aperto a un certo libertinaggio, alla trasgressione, che trovò il suo humus nello smarrimento dell’epoca. Non paga delle distruzioni della Grande Guerra, l’Europa era ancora preda dei nazionalismi da una parte, e di una decadente ebbrezza distruttiva dall’altra, fra reminiscenze di Nietzsche e lo stordimento delle luci della modernità, che aiutavano a dimenticare la povertà e la crisi economica. Uno stordimento che scivolò anche nella perversione, o comunque nell’ossessione sessuale. In parte, gli acquerelli giovanili di Carol Rama risentono di questo clima, mentre, da un altro punto di vista, riflettono anche la sua esperienza personale: la frequente presenza di donne nude – a volte con i corpi amputati degli arti, su letti di contenzione o sedie a rotelle -, deve essere letta anche come un inconscio, comprensibile richiamo alla figura della madre, per la vicenda della quale soffrì molto. Fino ad esprimere sulla tela un sentimento di liberazione e di rabbia, ma anche pulsioni quali feticismo, voyeurismo e sadomasochismo. Le sue strisce di colore sono autentiche pugnalate contro le convenzioni della società patriarcale. Si tratta di una pittura intensa e scioccante, vicina per atmosfera a quelli che saranno i film di Pasolini, ma anche alle liriche di Anne Sexton. La sua prima serie di acquerelli s’intitola Appassionata, celebrazione di una femminilità raffinata e animalesca insieme (anche Rama, come la poetessa americana, celebra l’autoerotismo). Il sesso è strumento di lotta, sociale così come politica, e Rama lo ribadisce attraverso le sue donne che sembrano rudi statue espressioniste, sardoniche dee di un paradiso perduto, circondate da un alone di mistero, pur nella loro visibile carnalità, ed espressione di una purezza primitiva soffocata dalle distruzioni della guerra e dalle costrizioni borghesi.
Le sue opere si avvicinano alla corrente dell’Art Brut, concetto creato da Jean Dubuffet per definire le espressioni artistiche di individui digiuni di cultura artistica, scaturiti soltanto dall’autenticità dei sentimenti; una condizione che si ritrova più frequentemente negli individui “ai margini”, come i detenuti, o i pazienti delle cliniche psichiatriche, o comunque persone con disagio, anche temporaneo, rielaborato appunto attraverso l’arte.
Il percorso artistico di Carol Rama rimarrà caratterizzato dalla sua storia personale, dall’idea della sessualità e della femminilità represse, ma a questa traccia principale si aggiunge quella dell’analisi della realtà attraverso l’Astrattismo, a partire dagli anni Sessanta: forte è la spinta contro l’ipocrisia della politica mondiale. Più incisivi, i lavori del decennio successivo: gli anni Settanta furono un decennio di radicalismo estremo, nonché di violenza sociale e politica, quasi un rigetto del pacifismo e dell’internazionalismo hippy del decennio precedente. Gli contri di piazza e il terrorismo segnano anche la vita del nostro Paese (nonostante gli appelli di Pasolini), e le opere di Carol Rama si fanno interpreti del nuovo sentire: utilizza gli pneumatici delle biciclette assieme a occhi in vetro, peli, lacerti di pelliccia, per comporre inquietanti collage che rappresentano una società ormai dedita al culto della violenza e della morte, e sullo sfondo si potrebbe anche intravedere quel fascino per l’occulto che da sempre contraddistingue la città di Torino, con le innumerevoli sette misteriche che vi si trovano. Ma soprattutto, emerge da questi collage la coscienza femminista, con le implicazioni androgine e sadomaso di quelle che possono essere definite come vere e proprie istallazioni di carattere politico.

In fondo il sesso può rappresentare anche una via di fuga, di liberazione, persino di estrema catarsi; in questo senso, un’opera fondamentale per comprendere l’evoluzione del pensiero di Carol Rama, è Senza titolo (1988), realizzato come fosse un antico mosaico greco, e il cui soggetto richiama la pratica sessuale nei misteri orfici: si nota infatti la Dea della Notte, dalle grandi ali nere, che plana sul toro/Dioniso. Quest’opera rappresenta una svolta, un momento di riconciliazione dell’artista con la sua complessa esistenza, perché il riferimento all’Orfismo deve essere interpretato come la ricerca (e il raggiungimento) dell’armonia: questi particolari riti orgiastici riservati agli iniziati, avevano infatti lo scopo di liberare l’anima dal peso del corpo, delle passioni e delle angosce (si pecca per non peccare più oltre, avrebbe detto il Principe di Salina). Ma ci piace anche pensare che la fascinazione di Carol Rama per l’occulto rientri anche nel suo essere torinese.
Fra gli anni Novanta e l’inizio del Terzo Millennio, la sua pittura conosce una nuova fase, di attenzione alle problematiche alimentari ed ecologiche, come si vince dalla serie La mucca pazza: nell’alimentazione delle mucche con farine animali (una sorta di inconsapevole cannibalismo), che quasi sicuramente è stata all’origine del morbo, Carol rama suggerisce l’allegoria del cannibalismo umano, della ferocia distruttrice dell’uomo sull’uomo.
Di Carol Rama, scomparsa sfiorando il secolo di vita, resta la memoria di una donna sopra le righe con una visione rabbiosa e moderna della femminilità, così come del ruolo della donna nella società, non confinata soltanto nel suo corpo (per quanto piacevole da ammirare): dalle sue opere trasuda l’odore selvaggio della donna che si fa Dea, Sfinge e Medusa, e sembra racchiudere un qualche segreto dell’umanità.