AMELIA ROSSELLI: la poesia del male oscuro
Può apparire piuttosto riduttivo inquadrare Amelia Rosselli in una produzione poetica che trova la sua fonte di scrittura dal frangente psicologico che attraversò parte della sua vita. Ne fu influente ma non totalizzante nella sua ampia espressione letteraria.
In febbraio cade l’anniversario della sua scomparsa avvenuta nel 1996 e Amalia Rosselli deve essere ricordata. La nostra vuole essere un’amorosa incursione nella personalità di una donna, prima che della letterata. “Amorosa” perché la figura di Amelia Rosselli, scorrendo la sua vita, entra nel cuore di ogni donna: morì infatti suicida nella nostra Roma, dove elesse la sua residenza definitiva dopo un lungo errabondaggio.
Ancor prima di tentare un breve approccio alla sua poetica, è necessario dire chi era Amelia Rosselli per centrare la figura di una poetessa assai poco appariscente ma tanto significativa e originale nella cultura del secolo appena trascorso.
La biografia
L’humus familiare in cui crebbe lasciò un’impronta in lei diremmo permanente. La storia del ‘900 ci richiama a quell’episodio che suscitò tanto scalpore nello scenario politico dell’epoca fascista e cioè all’assassinio avvenuto in Francia nel 1937 dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, di origine ebraica, fieri oppositori del regime. Amelia era figlia di quel Carlo Rosselli. La madre inglese, Marion Cave, un’ attivista del partito laburista. Quando il padre morì, Amelia aveva solo sette anni e certi avvenimenti le resteranno appiccicati addosso per tutta la vita. Da lì ebbe inizio l’esodo familiare, prima in Svizzera e poi negli Stati Uniti, dove attese a studi letterari, filosofici e musicali, non completati.
Fu nel 1946 che, tornata in Italia, fu costretta a fare la spola in Inghilterra per completare quegli studi che non le venivano riconosciuti nel nostro Paese. Lavorò nel frattempo come traduttrice dall’inglese per alcune case editrici di Firenze e di Roma e per la RAI, scrivendo anche numerosi saggi. Gli anni ’50 segnarono una tappa per lei decisiva, con la frequentazione degli ambienti letterari della Capitale dove conobbe Carlo Levi e gli artisti del Gruppo d’avanguardia ’63.
Iniziò a pubblicare i suoi testi poetici solo negli anni ’60, quando Pier Paolo Pasolini , che potremmo dire suo Pigmalione , volle inserire 24 sue poesie nella rivista letteraria “Il Menabò” del 1963; lo stesso Pasolini che, con precisa intuizione, ebbe a definire la scrittura della Rosselli una scrittura di “lapsus”.
La malattia
Forse le covava dentro quel male oscuro, acquattato nelle pieghe della sua endemica malinconia, del suo dolore di vivere. La morte della madre fu forse scatenante, lo chiamarono esaurimento nervoso. Ma il male di Amelia aveva connotati più invadenti e corrosivi. Specialisti svizzeri e inglesi furono crudi nella diagnosi: schizofrenia paranoide, che lei non volle mai accettare e nascose come poteva agli occhi degli altri. Non c’è maggiore lucidità che quella della lucida follia, perché il cervello che si nutre della normale banalità non partorirà mai “mostri”.
La poetica
Lettera, sillaba, parola, frase, pensiero: ricerca delle forme universali, laddove Sillaba è come Suono. E’ singolare come proprio dallo studio approfondito della Musica, la Rosselli abbia trovato terreno fertile o la polla sorgiva del suo lessico poetico.
Nel suo “periodare” la stessa Rosselli riconosce “…l’ esposizione logica di un’idea non statica come quella materializzatasi nella parola, ma piuttosto dinamica e “in divenire” e spesso anche inconscia….”. Quanto alla metrica “…insofferente a disegni prestabiliti, prorompente da essi, si adatta a un tempo strettamente psicologico musicale ed istintivo”. Ecco la fusione tra lingua e musica. Il critico Saverio Bafaro si rifà al “rumore primordiale”, a “quell’atto acustico puro” che permea i versi della Rosselli.
Un’indagine psicologica
La lettura di “Le Poesie” , edito solo post mortem nel 1997, ci ha dischiuso alla conoscenza della Rosselli e offerto l’occasione, per noi meravigliosa, verso una possibile indagine psicologica del suo scrivere poetico.
Se è legittimo paragonare la poesia alla pittura, ecco, la poesia di Amelia Rosselli ha connotazioni informali, non c’è rima, è un verso-non verso. In alcune poesie, le immagini vi si affollano in una geometria scomposta ove, però, non in tutte è possibile ritrovare una sintesi. Se il divenire del pensiero cosiddetto “normale” è di una fluidità talmente veloce, astronomica, da essere paragonato a quella della luce, è pur sempre governato da anelli di congiunzione che, ecco, sembrano mancare solo in talune poesie della Rosselli rivelando quella frantumazione dell’io, quella dissociazione rinvenuta in lei. Vi sono passaggi che vanno da immagini del reale a immagini oniriche, frammentarie, sconnesse, in sprazzi e spazi sconfinanti in un universo allucinatorio. Ne sortisce così un insieme di affreschi stupendi che solo una mente superiore, quella appunto attraversata da certi tumulti, può partorire.
E’ così che il suo linguaggio usa agganci del tutto inconsueti e incomprensibili alla banalità del razionale, come nel verso “L’Iddio che brucia tutto tra furgoncino e la pietà, ……”. E la sua “petrolifera immaginazione” parte sotto l’effetto di pulsazioni non scaturite dal profondo, ma da ben oltre. Infatti, secondo le più attuali teorie psicanalitiche, si sono intraviste regioni ancora non ben esplorate del nostro inconscio, degli strati ancora più abissali che racchiudono forse l’infinitezza dell’essere.
Ed è perciò che le poesie della Rosselli sono una mirabile e raffinata indagine di questo mondo invisibile. Nei versi più lucidi rivela tutta la consapevolezza della sua “inferma mente” e le sue “prigioni” (come lei stessa chiama), creano momenti di intenso pathos lirico, specie nella reiterazione compulsiva di certe immagini. La verità qual è se non quella imprigionata dentro di noi?
La creazione di neologismi pone questa poetessa al centro di un originale stile di scrittura, come in questi pochi versi di più facile impatto:
“….con te ho cercato l’immenso e la totale
disarmonia perfetta, ma basse corde risuonano anche se tu non le premi
anche se tu non sistemi le valanghe i gridi e
le piccole sgragnatiture in quell’unico
sicuro scialle. “
Forse una mente come quella della Rosselli non ce la faceva a sopravvivere in un mondo che non sapeva offrire quiete e appiglio a quelle sue “piccole sgragnatiture”.
Angela Grazia Arcuri
Roma, 4 febbraio 2013