Un motivo per ascoltare “Vincenzina e la fabbrica” di Jannacci
Ci sono alcune cose in cui incapperemo che ci faranno chiedere perché mai dovremmo conoscerle. Come, ad esempio, il fatto che Enzo Jannacci e Beppe Viola hanno composto “Vincenzina e la fabbrica” nel 1974 per la colonna sonora di “Romanzo popolare” film diretto da Mario Monicelli del medesimo anno.
«Una delle canzoni più belle che siano mai state scritte, con quel crescendo iniziale che quasi strozza la voce in gola e vi fa comparire davanti agli occhi i muri della fabbrica come invalicabile barriera tra il luogo del lavoro e quello della vita. Segregazione fisica e tempo rubato, come condizione per l’inclusione sociale», commentò il politico e saggista Alfonso Gianni.
Jannacci in questo brano ha cantato la dimensione urbana, la Milano operaia, quella delle periferie, del fascino ingenuo del macchinismo e della fabbrica, come luogo della fatica e allo stesso tempo della sicurezza del proprio futuro. Nella canzone Vincenzina “vuole bene alla fabbrica”, quel luogo di lavoro alienante che occupa la maggior parte delle ore della giornata e che a volte diventa rifugio dalla mancata tenerezza del di fuori. Tutto quel tempo era un modo per non pensare.
Con la seconda rivoluzione industriale all’inizio del XX secolo sul territorio piemontese nascono e crescono tante aziende: la Ercole Marelli, la Falck, la Breda, la Campari, la Pirelli e tante altre. In pochissimo tempo si creò un volano di sviluppo interconnesso di migrazione dal Sud Italia, attirando manodopera, creando posti di lavoro e aspettative insieme a tanta povertà e desolazione. Chissà quante Vincenzine – diffuso nome femminile nel Sud – arrivarono alla stazione centrale di Milano con la classica valigia piena di poche cose e sogni di una vita migliore. Di un lavoro.
Nel ventennio dai cinquanta ai settanta milioni di italiani si trasferirono dal Sud al Nord del Paese, e dalle campagne alle città sempre più industriali. Questo fenomeno determinò un rimescolamento della popolazione italiana, e una serie di conseguenze di tipo economico e sociale. Furono anni di enorme mutamento oltre che per l’Italia per tutti i paesi occidentali. I tecnici del settore commentarono questo sviluppo come “duale” o “bivalente”. Mentre il Nord cresceva a livello esponenziale, il Sud restava retrogrado, economicamente indietro tanto da pagarne ancora oggi le conseguenze. Il razzismo esercitato dagli italiani verso gli italiani non ha conosciuto sconti. Nemmeno quello dei contadini che dalle campagne sono giunti in città per lavorare. Eppure, la storia dei paesi è fatta spesso da chi scappa dal proprio, ed è assai raro che questa fuga avvenga davvero voluta.
Jannacci canta il brano con una malinconia quasi dolorosa, con una voce uno swing strampalato, un po’ stirata e a tratti addirittura stonata. All’alba della legge sul divorzio durante il Governo Colombo (1970) “Romanzo Popolare” (del ’74) i cui protagonisti sono il gigante Ugo Tognazzi e una giovanissima Ornella Muti, si trovano alle prese con la fine della loro storia d’amore. Trama ben diversa dai filmetti di venti anni prima alla Walter Chiari in cui amanti e mogli si intrecciano in giochi assai divertenti per lo spettatore, in gag estive in bianco e nero, dando per scontato che la figura femminile debba sorridere a tutto ciò.
Così dai titoli:
Da “La moglie va in vacanza” arriviamo miracolosamente all’ “Anatra all’ arancia”, “Romanzo popolare”, “Dramma della gelosia”, “Amore mio aiutami”,” Amori miei” e tanti altri. In cui le donne scelgono, lavorano e sono provocatoriamente bigame. Chissà se queste gag avranno fatto ridere lo spettatore dell’epoca.
I film si colorano e sanno di lotta, fatica, rivalsa e conquiste. Ricordandoci di difendere quelle fatiche fatte per ottenerle. Il lavoro, l’indipendenza, la libertà di scegliere, spesso di lottare proprio come fa Vincenzina, anche contro il giudizio della propria famiglia. La protagonista non tornerà più nella casa paterna, nido da cui uscì per essere consegnata a nozze da un assai più adulto marito che amò per anni vittima di un falso sé.
Il rumore dei passi delle operaie non conosce più compromessi. Le donne lavorano, votano, divorziano e, se devono, restano sole. Vincenzina, molto più giovane di Giulio Blasetti, è uno dei primi esempi nel cinema italiano di una ragazza madre che decide di andare in fabbrica e non tornare al suo paese d’origine, in cui forse come lei stessa dice “l’avrebbero costretta a tornare col Blasetti”. Il pezzo di Jannacci e Beppe Viola non è una traccia facile da inserire in una attuale playlist. Ma merita di essere conosciuta. Parla delle prime immigrazioni di noi italiani al nord. Di una nuova indipendenza femminile.
Il film designato nel cuore degli anni Settanta assieme ad altri capolavori come “Dramma della gelosia” (1970) diretto da Ettore Scola iniziano a mostrare una comune ovazione sulla nuova donna. Romanzo popolare è facilmente visibile su Premium. Pietra miliare dell’educazione sentimentale dei nostri genitori, il film affronta tante tematiche: amore, politica, immigrazione altrui e nostra, alienazione lavorativa, emancipazione, cambiamento e i primi divorzi.
A tratti comica, la pellicola è perennemente connotata dall’eros dello splendore del nudo integrale della Muti. In atmosfere opache e industriali descritte alla perfezione da Enzo J. Altro film da mettere in lista, altro brano da mettere in playlist. Impossibile pentirsi di aver passato del tempo davanti allo schermo con quella straordinaria interpretazione di Tognazzi. Quanto impossibile è non voler bene alla giovane protagonista. Che, lontana da casa, la mattina lavora, integra e indipendente.