Dal Marmottan a Palazzo Reale.
Milano riparte con Claude Monet

Il 18 settembre è stata inaugurata a Palazzo Reale la mostra dedicata al pittore impressionista Claude Monet (Parigi,1840 – Giverny,1926).
La mostra, già presentata a Roma nel 2017 al Complesso del Vittoriano, custodisce cinquantatre opere provenienti dal Musée Marmottan di Parigi, dedicato allo stesso Monet, che riassumono l’evoluzione stilistica di uno degli artisti più influenti del XIX secolo.

La curatrice Marianne Mathieu, direttrice scientifica del Marmottan, ha proposto un percorso espositivo in cui, grazie a postazioni didattiche, lo spettatore è chiamato a partecipare attivamente avendo la possibilità di immedesimarsi nell’artista e provare a vedere con i suoi occhi i paesaggi, la luce ed i colori.
La pittura en plein air tra luce e nebbia
Tema centrale della mostra è la pittura en plein air dagli albori fino alle ultime opere dell’artista.
Si può dire infatti che Monet sia stato il primo a ritrarre uno stesso paesaggio o un motivo in serie durante le diverse ore del giorno. La pittura en plein air è resa possibile dalla seconda metà dell’Ottocento grazie ai progressi tecnologici e all’introduzione sul mercato dei colori a tubetto che consentono agli artisti di uscire dal proprio atelier.
Le tele, normalmente di piccole dimensioni per poter essere facilmente trasportabili, vengono dipinte con colori chiari e con pennellate brevi e veloci per poter cogliere l’immediatezza del momento.
Monet attribuisce un ruolo essenziale alla luce che definisce “un involucro che avvolge qualsiasi cosa variando di colore e d’intensità nell’arco della giornata”. Dai toni rosati dell’alba passando per i freddi della mattina fino ai rossi della sera. Per rendere la luce del mattino l’artista parigino aggiunge il bianco a tutti i colori in luce, mentre per rappresentare il tramonto scalda i colori con l’aggiunta dell’arancione.
La nebbia invece è percepita come un filtro che dissolve il paesaggio e in cui le ombre scompaiono. È un mantello che annulla il soggetto e colora l’atmosfera. Si ritrova spesso nelle opere di paesaggio realizzate durante i soggiorni londinesi, ad esempio nel “Palazzo del Parlamento” in cui le sfumature morbide fanno da contraltare ai profili taglienti delle architetture.

I fiori amati da Monet
Una sezione molto ampia della mostra è dedicata ai fiori amati da Monet, dagli iris alle rose, passando ovviamente per le ninfee.
Dopo aver posto la sua dimora a Giverny, cittadina dal sapore medievale nel cuore della Normandia, Monet progettò uno stagno per poter studiare e dipingere i riflessi sullo specchio d’acqua. Sulla sponda salici piangenti e bambù, nello stagno ninfee galleggianti ed erbe acquatiche. Ben presto le ninfee diventano il soggetto preferito dell’artista, tant’è che attualmente ne restano più di 250 tele di diverso formato, che documentano la sua incessante ricerca, durata più di trent’anni.

Si tratta di una serie di opere molto apprezzate sin dall’inizio dalla critica e divenute famose in tutto il mondo.
Il modo di dipingerle subisce dei cambiamenti nel tempo: dalle prime, nitide e ben definite, si passa a quelle dalle forme più libere, rarefatte ed in alcuni casi anche astratte.
Nel Monet maturo è possibile notare un effetto di trascinamento del colore sulla superficie in cui la pennellata, ormai scarna, serve a cogliere l’essenza, liberandosi da ogni orpello.
“Ho dipinto tante di queste ninfee, cambiando sempre punto di osservazione, modificandole a seconda delle stagioni dell’anno e adattandole a diversi effetti di luce, che il mutar delle stagioni crea. E, naturalmente l’effetto cambia costantemente, non soltanto da una stagione all’altra, ma anche da un minuto all’altro, poiché i fiori acquatici sono ben lungi da essere l’intero spettacolo, in realtà sono solo il suo l’accompagnamento. L’elemento base è lo specchio d’acqua […]. Cogliere l’attimo fuggente o almeno la sensazione che lascia è già sufficientemente difficile quando il gioco di luce e colori si concentra su un punto fisso, […] ma l’acqua, essendo un soggetto così mobile e in continuo mutamento è un vero problema. Un uomo può dedicare l’intera vita ad un’opera simile”.
“Monet is only an eye, but my God, what an eye!” Paul Cézanne
Nel 1908 Monet si ammala di cataratta bilaterale, patologia che compromette la sua percezione dei colori e che comporta inevitabilmente un cambiamento nella sua pittura. Il bozzetto, appena schizzato, appare illegibile, i colori della tavolozza si riducono al giallo, al rosso e al marrone e la forma cede il posto al movimento.
I gravi disturbi alla vista lo spingono ad attacchi d’ira durante i quali distrugge molte tele.
Nell’estate del 1922, divenuto ormai cieco, Monet smette di dipingere, ma poco dopo accetta di farsi operare all’occhio destro, subendo ben tre interventi. Il risultato è il recupero parziale della vista: l’intervento riduce la visione opaca data dalla cataratta, ma diminuisce anche il ruolo di filtro svolto dal cristallino, di conseguenza la retina dell’occhio destro reagisce di più alla luce e Monet soffre di abbagliamento e visione bluastra.
Come rimedio gli vengono prescritti degli occhiali speciali dalle lenti gialle, prodotti appositamente per lui in Germania. Questi ultimi, ancora esistenti ed esposti in mostra, sono congegnati con la lente sinistra opaca per evitare la visione doppia e la destra convessa e leggermente colorata. In tal modo si rettificava la visione dei colori e si attenuava la sensazione di abbagliamento.
Nel 1925 l’artista confessa di non riuscire più a dormire e di essere “ossessionato continuamente da ciò che sto cercando di realizzare. Mi alzo al mattino rotto di fatica. L’alba mi ridà coraggio, ma la mia ansietà ritorna non appena metto piede in studio […] dipingere è così difficile e torturante”.
La malattia agli occhi gli permette, però, di giungere ad una rappresentazione più interiore in cui il colore acquista maggiore espressività, mentre la forma perde la sua solidità.
A questo periodo risalgono alcuni cicli come Viale delle rose, Ponte giapponese e Salice piangente che rivestono un’importanza notevole dal momento che ispireranno i pittori astratti della seconda metà del Novecento.

Informazioni:
La mostra è visitabile dal 18 settembre al 30 gennaio 2022. Biglietto d’ingresso da €8,00 a €16,00 inclusa prevendita.
Da martedì a domenica ore 10:00-19:30, giovedì chiusura alle 22:30. Ultimo ingresso un’ora prima. Lunedì chiuso. Catalogo Skira.