A Kiev la vita è duplice: tra guerra e normalità

A quasi tre anni dall’inizio della guerra russo-ucraina, scoppiata il 24 febbraio 2022, la quasi totalità dell’Ucraina sud-orientale appare conquistata dalla Russia. Questa regione include gli oblast di Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia, Kherson, Kharkiv e chiaramente la Crimea.
Oggi i punti critici del paese sono l’economia a pezzi (il PIL è crollato del 29% nel 2022), l’ingente calo demografico (da 50 a 20 milioni di abitanti), la gestione delle migrazioni e delle risorse. In merito a quest’ultimo aspetto, gli aiuti umanitari restano di vitale importanza.
Per affrontare il terzo inverno di guerra, Zelensky è determinato a portare a termine il piano della vittoria e quello di resilienza.
Sebbene esistano, in un’ottica macroscopica, innumerevoli cartine che mostrano come la geografia ucraina sia cambiata e stia ancora cambiando, è importante restringere il campo visivo.
La vita a Kiev, oggi
Sono diverse le inchieste sul campo che hanno fotografato, ripreso, ascoltato gli abitanti della capitale. Un contributo fondamentale è stato per esempio quello dell’Associazione WeWorld, rappresentata in Ucraina da Guido Manneschi.
A Kiev è stata trovata una nuova regolarità (per citare lo stesso Manneschi), che ovviamente non significa normalità assoluta. La regolarità infatti è un nuovo ritmo, scandito dalle sirene (che possono suonare anche 5-6 volte al giorno), dai messaggi di emergenza che la popolazione ucraina riceve sui propri telefoni (questi consentono ai cittadini di sapere quasi con certezza da dove potrebbero arrivare gli attacchi russi e dove sono diretti, per mettersi al riparo per tempo), dal coprifuoco a mezzanotte, dal reclutamento militare continuo.
Negli intermezzi di questo quadro drammatico e dove il volto di Kiev non è stato sfigurato dai raid missilistici, che radono al suolo interi edifici e infrastrutture, c’è ancora la vita.
Chi è iscritto a una scuola dotata di rifugio, ci va, altrimenti segue la didattica a distanza. I mezzi di trasporto non sono più attivi, mentre le stazioni delle metro vengono usate come bunker.
Le risorse sono ancora scarse, infatti i blackout sono molto frequenti, ma la popolazione ha imparato a riadattare la propria routine in base a quando c’è elettricità, così come vivere senza luce.
Ma quello che sorprende di più è che circa un anno fa sono stati riaperti cinema, teatri, ristoranti e negozi. Chi è impiegato in un’attività ancora in piedi, va al lavoro. Chi può e vuole intrattenersi, lo fa. È come se spazio e tempo fossero sospesi, come se in alcuni posti si potesse tornare al prima.
Molti sono i segnali che ricordano che c’è una guerra in corso (gli allarmi, le sirene, i posti di blocco). Si potrebbe dire che questi aiutano i cittadini a tornare con i piedi per terra, a riconnettersi con il presente, ma non è così.
A Kiev la grande fortuna e novità — che purtroppo altrove non esiste — è di poter fare una vita duplice: una vita di guerra e una quasi normale, due realtà ormai intrecciate.