Border, creature di confine: una riflessione fantasy sull’umano e sul bestiale

In Border – Creature di confine (Gräns) l’umano e il sovrannaturale si intrecciano così profondamente da rendere indistinti specie, genere (sia filmico che sessuale) realtà e folklore.
Questa pellicola del 2018, diretta da Ali Abbasi, porta sul grande schermo un racconto (Confine) dell’autore scandinavo, John Ajvide Lindqvist che, insieme al regista, ha lavorato alla sceneggiatura del film.
La protagonista è Tina, una donna dall’aspetto disturbante e singolare con capacità fuori dal comune che le permettono di captare, attraverso l’olfatto, vergogna, sensi di colpa, rabbia.

Qualità soprannaturali che la rendono un’impeccabile agente di dogana, con un fiuto animalesco, è in grado di smascherare spacciatori, traffici illegali di alcool, ma anche materiale pedo-pornografico nascosto.
Tina è straordinaria nel suo lavoro ma profondamente disadattata nella vita quotidiana: emarginata e solitaria, convive con un ragazzo più per bisogno che per affetto, evita ogni relazione umana e trova conforto solo negli animali che popolano la foresta attorno a casa sua.
Un’epifania spezzata
A stravolgere l’esistenza solitaria di Tina è l’incontro con Vore, una creatura dall’aspetto primitivo e dai sensi affilati quanto i suoi. L’attrazione che nasce tra loro è immediata, viscerale, e apre a Tina uno spiraglio su una possibile identità mai immaginata prima — una prospettiva di vita che ribalta ogni certezza.
Ali Abbasi, regista iraniano naturalizzato svedese, noto anche per The Apprentice, feroce biopic su Donald Trump, intreccia fantasy e realtà per raccontare la storia di un’outsider convinta di essere portatrice di una rara anomalia genetica che la rende speciale.

Ma sarà proprio l’incontro con il selvaggio e orgogliosamente diverso Vore, che si nutre di vermi e corre nudo tra gli alberi, a mettere in discussione quella visione, aprendo la strada a una riscoperta radicale di sé.
Per Tina, questo momento assume i contorni di un’epifania nel senso joyciano: un lampo di verità esistenziale che squarcia la monotonia e la solitudine, facendole credere per un attimo di aver trovato finalmente un senso, un’origine, forse persino una famiglia. Ma la rivelazione si rivelerà fragile e ambigua, l’identificazione con Vore, anziché guarirla, la spinge verso un’illusione di appartenenza che presto mostra le sue crepe, costringendola ancora una volta a rinegoziare la propria identità e la propria “umanità”.
Metamorphosis
Man mano che si sviluppa la trama, Border ipnotizza il pubblico con i suoi continui cambi di registro: un viaggio intimo verso la scoperta di sé, un’indagine inquietante su un caso di pedofilia e una potente componente fantasy che fonde il genere con una metafora sociale.
L’autore esplora la sottile linea di confine tra l’umano e il bestiale, un limite che viene costantemente messo in discussione e che, infine, viene annullato. Piuttosto che una semplice dicotomia, la narrazione invita a riflettere sulla complessità di questi concetti, mostrando come l’umano e il primitivo possano fondersi in modi inaspettati.

Il film si configura come un ibrido armonioso, in grado di riflettere sui limiti sottili tra istinto primordiale e moralità civile. Se l’attrazione tra Tina e Vore rappresenta una vertigine liberatoria, un’ebbrezza di riscoperta identitaria e sensuale, è la presa di coscienza (quella di aver vissuto una vita fondata su un inganno) a destabilizzare la protagonista, sospesa tra due mondi e incapace di riconoscere il proprio.
È in questo spaesamento che lo spettatore si specchia, trascinato in una fiaba cupa dove la metamorfosi riguarda corpo e anima.
Anche il risveglio sessuale segue logiche non convenzionali e trova una delle sue espressioni più memorabili in una scena in cui umanità e ferinità, maschile e femminile, si fondono in modo viscerale e del tutto naturale, rompendo ogni binarismo.
Border non si limita a essere guardato: va attraversato, sentito, vissuto.