Cresciuti nella rete, intrappolati nella rabbia: “Adolescence” e il volto umano della cultura incel

Ideata da Jack Thorne e Stephen Graham (che interpreta anche il padre del protagonista), diretta da Philip Barantini, Adolescence è una miniserie che scuote profondamente, perché parte da un fatto estremo per raccontare qualcosa di fin troppo reale.
Al centro della storia c’è Jamie, un tredicenne apparentemente come tanti, che in una notte qualsiasi uccide Katie, sua compagna di scuola. Un gesto inspiegabile all’apparenza, che la serie esplora con lucidità e coraggio, cercando le motivazioni nascoste dietro un atto tanto brutale.

L’espressione di un disagio sociale
Adolescence è molto più di un crime o di un dramma familiare, è un’indagine sulla nostra società e su ciò che oggi plasma l’identità dei più giovani. Jamie non cresce in un contesto marginale o violento: ha due genitori presenti, una sorella maggiore in partenza per il college e una vita ordinaria.
Ma passa ore online, immerso in una rete di contenuti che promuovono la mascolinità tossica, l’odio verso le donne, e il rifiuto dei valori femministi.
La serie affronta direttamente l’influenza della manosfera, l’ambiente digitale dove crescono ideologie misogine e dove figure come Andrew Tate diventano punti di riferimento per adolescenti in cerca di identità. È qui che Jamie si forma, nutrendosi di un mondo che glorifica la violenza maschile e rifiuta l’emancipazione femminile.
All’interno di questa rete, Jamie entra anche in contatto con la cultura degli Incel, una comunità che trasforma la frustrazione sentimentale in odio verso le donne. In questo contesto, la sua rabbia si alimenta e si traduce in un atto di violenza, un’esplosione di rancore che diventa, per lui, l’unica risposta a un mondo che percepisce come ingiusto e minaccioso.
Una visione claustrofobica
Girata in un unico, lungo piano sequenza, Adolescence diventa un’esperienza visiva intensa e senza pause. Si entra nella vita di Jamie e non se ne esce, seguendolo da casa a scuola, da un inseguimento tra le strade a un supermercato, fino al ritorno tra le mura domestiche.
Senza tagli, senza correzioni, come accade nella vita reale. In questa scelta stilistica che la serie trova la sua forza, perché non solo ci mostra, ma ci immerge nel caos emotivo di un ragazzo che non riesce più a distinguere ciò che è giusto da ciò che è distruttivo.

Ma la chiave della serie sta nel suo approccio umano: Jamie non è un mostro, ma un ragazzo pieno di rabbia e insicurezze, che tenta di negare fino all’ultimo, che poi si incrina, che sente il peso del rimorso e della colpa, soprattutto verso suo padre, che non può fare a meno di chiedersi dove abbia sbagliato.
Quei bravi ragazzi
Non c’è spettacolarizzazione del crimine, il delitto non si vede, lo si intuisce da lontano, in un video sgranato. Ciò che conta è il dopo, il rimorso che si insinua, la colpa che cresce, soprattutto nello sguardo del padre, che non può smettere di chiedersi quale sia stata la sua parte di responsabilità.
Adolescence ci parla dell’irrazionale che può esplodere nel quotidiano, di come l’odio possa infiltrarsi nelle menti fragili, anche in quelle cresciute con affetto.
Jamie potrebbe essere il figlio, il fratello, il compagno di scuola di chiunque. Ed è proprio questo che fa più paura e che rende questa serie un’opera urgente, che ci invita a guardare dove spesso preferiamo non vedere.
