L’Arminuta racconta la capacità di adattarsi alle mancanze degli adulti

L’Arminuta è un film del 2021 diretto da Giuseppe Bonito e ispirato liberamente all’omonimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio.
Un racconto di formazione dai tratti crudi che si cela dietro le ambientazioni rurali e l’atmosfera fiabesca.
Nella prima scena del film il vestito azzurro e bianco della protagonista ricorda quello di Alice nel paese delle meraviglie e ci fa illudere di poter godere di una storia sognante, ma scopriamo da subito che è la nota drammatica a fare da padrona.
Fin dall’inizio veniamo catapultati in una situazione molto forte: una ragazzina di tredici anni viene restituita alla famiglia cui non sapeva di appartenere.
Possiamo solo immaginare il dolore di una bambina che da un momento all’altro vede sottrarsi davanti a sé gli affetti più cari e viene inserita, contro il suo volere, in un contesto estraneo.
All’improvviso perde tutto della sua realtà precedente: una casa confortevole e l’affetto esclusivo riservato a chi è figlio unico.

Discrepanze
La protagonista non ha un nome ma viene sempre chiamata “l’Arminuta”, che nel dialetto abruzzese significa “la ritornata”. Sottratta in modo consenziente alla sua famiglia d’origine, per questioni economiche, la bambina viene adottata dagli zii e cresce in città, nell’agio e nella formazione borghese.
Ora per qualche motivo non specificato viene riportata e costretta a vivere con coloro che l’hanno messa al mondo, persone semplici, rudi e di poche parole.
Scopre qui una famiglia numerosa: due genitori che non riescono a mostrare affetto e cinque fratelli. Solo la piccola Adriana riuscirà a starle accanto, seguendola ovunque, e a darle l’amore di cui l’Arminuta ha bisogno.
D’altronde la vita nelle campagne abruzzesi del ’75 non è facile, soprattutto per una famiglia che ha tanti figli da mantenere e si sostenta lavorando la terra.
Il regista sa cogliere appieno quella dicotomia frutto del boom economico in Italia e ci descrive due realtà che viaggiano su piani diversi e opposti: chi rimane arretrato e chi invece vive il progresso.
Coloro che non riescono ad inserirsi nel processo di evoluzione, rimangono ancorati ad una vita agreste, intrisa di vecchi valori. L’ambientazione cupa e scarna dei momenti in cui si mangia tutti insieme a tavola ci fa ripensare al famoso dipinto di Van Gogh I mangiatori di patate, per i suoi toni scuri, i volti scavati e ombrosi, la scarsità del cibo.

L’alfabeto amoroso
In particolare ciò che differenzia i due stili di vita è il modo di esprimere i sentimenti: inconsistente e quasi nullo da una parte, libero ed esplicito dall’altra.
Non riusciamo a comprendere quel muro che pone la madre biologica di fronte alla figlia, fatto di tanti silenzi e nessun contatto fisico. La donna è priva di un lessico degli affetti, di quel famoso Lessico famigliare di cui parla Natalia Ginzburg nel sul romanzo autobiografico, dove i componenti della famiglia vivono attraverso i loro gesti e le loro parole.
Sul finale del film, però, la madre si apre e capisce che l’Arminuta è il suo riscatto, è la scintilla che la da straordinaria linfa vitale.
È difficile tollerare l’atteggiamento delle due madri: perché se da un lato troviamo una donna ermetica, dall’altro scopriamo una madre adottiva incapace di far valere i propri sentimenti e di imporre le proprie decisioni.
I momenti più potenti sono quelli in cui i personaggi si sfiorano, lo spettatore riesce a cogliere l’affetto che alberga nei loro cuori e che si rende tangibile per pochissimi istanti.
Colmare le assenze
Bonito pone l’attenzione sull’incapacità umana di esprimere il bisogno degli altri, un ostacolo per la nostra vita che può deteriore legami e ferire chi amiamo.
Sarà difficile per la protagonista accettare questa nuova dinamica familiare, perché da un momento all’altro si ritrova “vittima” delle volontà degli adulti e di un destino che non va come sperato.

Queste scelte sono discutibili e inumane, perché non tengono conto di chi le subisce, non sanno vedere al di là dei propri timori.
L’Arminuta, infatti, racconta la storia di persone che hanno paura di essere abbandonate, hanno paura di perdere e hanno difficoltà a riconquistare le persone.
Nel mezzo si trova una ragazzina che somma tutte queste paure ma riesce a metabolizzarle con la sua capacità di adattarsi alle mancanze che pongono gli adulti, divenendo un grande esempio di resilienza.
Se il destino si può definire solo in modo retrospettivo, possiamo intravedere nella scena finale una speranza irradiata da una luce solare che illumina le due bambine.
Una luce che è un augurio di felicità e pace, una benedizione che scende sui loro animi, ora più consapevoli ma sempre aperti all’amore.
L’Arminuta racconta la capacità di adattarsi alle mancanze degli adulti