Bilulu: il progetto naturalmente dinamico
Nel cuore di Roma, c’è un atelier con una storia che vale la pena raccontare, una storia che parte nel 2013 che vale la pena ascoltare. Lucrezia Moro, ideatrice di Bilulu, risponderà a qualche nostra domanda e ci racconterà il suo progetto.
Ciao Lucrezia, partiamo dal 2013, come nasce il progetto Bilulu e quali obiettivi hai prefissato?
Bilulu nasce da una crisi, una di quelle belle difficili. Quando hai toccato il fondo perché il lavoro che fai ti distrugge, ma hai investito tutto e ti sembra di non avere modo di cambiare. Ammetto che ero proprio disperata, non sapevo né come né da dove ripartire. Ecco, da quel punto buio è nata la scintilla di Bilulu.
Mia mamma mi ha detto un giorno che ero molto triste “torna a sognare, cosa ti piace fare? Hai sempre usato le mani, perché non ripartire proprio da lì?”.
Quindi Bilulu è innanzitutto rinascita, la spinta verso una nuova prospettiva.
Non pensavo che sarebbe diventato un progetto sulla riconnessione con l’ambiente attraverso il colore naturale e l’abbigliamento.
Sono stati tanti piccoli passi, mossi in onestà ed ascolto, a portarmi qui. Non ho mai avuto una vera strategia, tranne quella di lavorare duro e cogliere le opportunità.
Ho iniziato a fare le prime prove di tintura circa 17 anni fa, senza aver mai pensato di farne un mestiere. Né tantomeno di avere un giorno un atelier a Trastevere. In questi ultimi anni ho dovuto imparare a usare le macchine da maglieria, a rammagliare, a tagliare e cucire, a rifinire, a muovermi nel mondo delle fiere per trovare fornitori, inventarmi canali di vendita, fare market, iniziare ad insegnare, fare riparazioni, lavorare per brand di nicchia, ma soprattutto imparare a capire cosa mi muoveva, qual era il mio daimon. Ho capito che il settore moda è un mondo da cui voglio stare fuori, non ne condivido le dinamiche, i ritmi, né gli obbiettivi. A me piace usare le mani e stare in natura: sai quante volte mi hanno suggerito che per crescere avrei dovuto solo disegnare, staccarmi dalla produzione, smetterla di raccogliere le piante con cui tingo, perché è un processo troppo lungo? Quindi tornando alla tua domanda, l’obbiettivo principale è quello di crescere senza perdere la scintilla iniziale, quella che ha fatto muovere il primo passo. Continuare a fare ciò che amo, creare con le mani e possibilmente stare per campi.
Non so se lo sai, ma la tintura in Italia, non ha un suo posto nella classificazione delle attività economiche, è come se non esistesse. Io per lo stato sono sarta e maglierista, e così pago le mie tasse.
Questo significa che il mestiere della tintura l’ho imparato da me, cercando maestri in Italia e all’estero, comprando libri, facendo prove su prove e confrontandomi con tintori più esperti di me.
Quasi 2 anni fa insieme ad Elena Gradara ho fondato il Collettivo Tintura Madre per creare una rete delle persone che lavorano con il colore naturale. Per ora è solo un piccolo gruppo, poco organizzato, di entusiasti che studia insieme e organizza corsi ed eventi per formare ed informare: sai c’è molta confusione anche su nozioni molto semplici, per esempio la differenza tra colorante e pigmento…
Bilulu e sostenibilità, questo binomio come si trasforma in lavoro e realtà quotidiana?
La parola sostenibilità mi dà un po’ noia. Mi spiego: l’aggettivazione è un fattore focale, perché racconta molto del paradigma socio-economico di questa parte del mondo.
Prendo in prestito un paragone chiaro a tutti: 80 anni fa chi avrebbe fatto distinzione tra cibo biologico e non biologico? Oggi si capitalizza su qualità che in passato erano le uniche possibili e si paga di più per avere qualcosa che di fatto “ha di meno”: meno pesticidi, meno kilometri, meno passaggi in frigorifero.
Ciò che di fatto si paga in più sono i controlli. Ma allora la controparte non aggettivata (per spiegarci il “cibo” che si contrappone al cibo bio, la “moda” che si contrappone alla moda etica, la “finanza” che si contrappone alla finanza etica) non è controllata? Evidentemente gli standard sono da rivedere.
Le parole hanno potere, e trovare quelle giuste cambia il nostro approccio cognitivo alle cose: la moda inquinata ed iniqua resterà la norma e progetti come Bilulu saranno eccezioni finché innanzitutto gli handmaker, come me, non parleranno e penseranno in modo rivoluzionario, rifiutando lo stigma di realtà sostenibili.
Rivendico una rivoluzione delle parole, che le aziende, per dimensione e politica aziendale in contrapposizione a quelle piccole, vengano classificate per ciò che sono: insostenibili, nella maggior parte dei casi e che, per favore, si smetta di aggettivare positivamente con termini quali etico, sostenibile, green, ecc tutte quelle realtà che semplicemente fanno del loro meglio per fare le cose con un po’ di intelligenza.
Ci tengo a sottolineare che trovo poco feconde le opposizioni noi-loro: portano a vicoli ciechi e negano dialogo e compromessi costruttivi.
Questa retorica può essere funzionale alla comprensione ed al sovvertimento, ma va subito abbandonata. Una narrativa romantica dei giusti, ha bisogno di nemici per essere credibile. Fa quindi comodo ai piccoli progetti indipendenti per rinforzarne l’identità, ma sfrutta a sua volta la stessa mentalità, e in tutto ciò c’è un rischio altissimo.
C’è in gioco il nostro futuro, su tutti i fronti, kata metron è un dovere, non più una scelta, perché ricercare una crescita infinita in un sistema finito è da cretini.
La realtà quotidiana di Bilulu è molto diversificata, varia di giorno in giorno e di stagione in stagione. Infatti va dall’approvvigionamento in natura delle piante tintorie, alla tintura, dalla ricerca delle stoffe e dei filati, alla presenza in atelier, dove do forma ai capi di abbigliamento e agli accessori, incontro persone e racconto il progetto Bilulu.
Bilulu è un piccolo progetto artigianale, che vorrebbe stare ben lontano dal settore moda, volendo affermare il suo posto nello scenario dell’artigianato indipendente; acquista stoffe e filati da fornitori che portano avanti a loro volta progetti tosti, che conosco di persona. Utilizza materiali per la colorazione principalmente auto-foraggiati o di recupero da potature e allestimenti floreali, cerca di utilizzare al massimo la materia prima attraverso il riuso dei bagni di tintura e l’upcycling degli scarti tessili.
Il tuo lavoro si basa anche su una profonda conoscenza del mondo botanico e chimico, come è iniziato l’amore per queste materie?
L’innamoramento per il colore naturale ad un certo punto porta necessariamente ad un bivio, scegliere di conservarlo come un hobby, oppure andare oltre, e farne qualcosa di serio. Quell’amore di cui parli nasce nella fase più adulta della passione per una tecnica, quando accetti di riprendere in mano nozioni che al liceo non ti entusiasmavano, e te ne riappropri, trovando loro un posto sensato nel tuo comprendere il mondo.
La storia del colore naturale è un crocevia che riunisce storia dell’arte, storia del costume, botanica, mineralogia, chimica, fisica, le molteplici tecniche artistiche applicate, lo studio rituale del colore, l’erboristeria, e molto altro. E questo a tutte le latitudini e indietro fino alla preistoria. La storia del colore naturale è una lente magica attraverso la quale leggere la storia dell’Uomo, se ci pensiamo bene il primo atto artistico di cui abbiamo tracia è un’impronta rosso ocra sulla parete di una caverna. Lo stesso rosso ocra con cui i neandertaliani venivano cospargevano il cranio dei propri defunti per accompagnarle nell’aldilà.
Ricordi il tuo primo capo realizzato?
Il primo capo realizzato no, almeno non precisamente, ce ne sononstati diversi, iniziati e conclusi in modo alternato. Erano maglioni ai ferri, che facevo per me, hackerando i modelli delle riviste di maglieria. Di sicuro ricordo il primo quadratino realizzato con la mia prima macchina da maglieria. Era una Passap Duomatic D80, difficilissima da usare. Ci ho passato davvero tante nottate prima di riuscire a fare quel piccolo quadrato tutto storto, ma per fortuna sono molto caparbia, se vogliamo usare un eufemismo.
Atelier nel cuore di Trastevere, com’è il tuo rapporto con il quartiere?
Il mio rapporto con il quartiere è alla base della scelta di stare a Trastevere. Ho aperto l’atelier ad aprile 2022, ma la mia esperienza con il posto risale all’adolescenza, visto che sono di Monteverde, e la sera venivo qui. Per me è un luogo molto familiare ed autentico. Questo è ciò che mi lega agli abitanti del quartiere: le loro storie, il loro giocare a carte al mattino, o il saluto quando ci incrociamo per un caffè, al bar Calisto ovviamente. Se manco qualche giorno mi chiedono come mai, del resto li incrocio tutti i giorni.
Per quanto riguarda altre realtà artigianali ed indipendenti, la strada è ancora lunga. A parte via Bertani, ed il rinomato Bertani day, in cui tutti gli studi celebrano insieme la creatività proponendo attività, musica, cibo e tante belle cose, a Trastevere, nella parte in cui sto io, non c’è granché. Sarebbe bello creare un quartiere sognante, dove si incontrano mestieri fantastici, e sognatori creativi che come i pirati, solcano i mari dell’arte sfidando le tempeste della burocrazia e dell’omologazione.
E da questo senso di rivoluzione che in atelier ospito altri progetti quali i gioielli botanici di Le Jardin de Plaisir e le creazioni di Federica Bettelli, oltre a ospitare durante l’anno workshop di colleghi su varie tecniche, sempre legati al mondo del colore naturale o del lavoro con i fili. Per smuovere un po’, io e le ragazze che girano per l’atelier, organizziamo serate musicali, invitando amici con vinili annessi, ospitiamo piccole esposizioni di altri creativi, insomma, cerchiamo di farci conoscere e di creare connessioni al livello urbano.
Bilulu Academy, raccontaci questo progetto.
Bilulu Academy nasce come progetto personale, di crescita, attraverso l’incontro di altre persone. C’è chi vuole imparare e chi vuole imparare ancora di più condividendo ciò che ha appreso. Bilulu Academy vuole essere un progetto facilitatore di questo passaggio di informazioni, promuovendo corsi, collaborazioni e gruppi di studio.
Nella trasmissione ad altri si consolida la conoscenza che si ha di un argomento, ciò può avvenire insegnando, oppure partecipando a gruppi di studio, in cui ci si confronta, secondo le rispettive esperienze. In questo modo leggere con altri un manuale di chimica tessile di fine 800 può diventare una cosa davvero meravigliosa!
Quali novità ci sono in vista?
Ora che Bilulu ha uno spazio e inizia a farsi conoscere anche all’estero, l’obbiettivo è quello di rinforzare la presenza sul territorio, partecipando ad eventi ed organizzandone a sua volta. Le collaborazioni arricchiscono, regalano nuove prospettive. Nei prossimi mesi la direzione è appunto aprirsi all’incontro. Una prima occasione saranno degli eventi al livello cittadino. Per esempio nel 2024 insieme a Marta Alexandra Abbott, amica e collega, daremo vita ad una collaborazione con Varsi Art&Lab saremo uno dei corsi nel loro fitto calendario di eventi di formazione. Nello specifico accompagneremo nella creazione e composizione con inchiostri naturali. E’ un progetto che stiamo scrivendo in questi giorni, non posso anticipare molto, ma ne sono estremamente entusiasta, e dopo l’estate avremo in mano il materiale per la promozione. Per gli aggiornamenti e tutte le altre novità di BILULU potete controllare la pagina Instagram.