Twitter non cinguetta più
Da oltre dieci anni i social network, in maniera sempre più pesante e pressante, sono entrati nella vita di ogni individuo. Sono davvero poche le persone che non hanno almeno un’app social (per non dire nessuno) sul proprio smartphone. Selfie, video e opinioni postate in maniera compulsiva sulle piattaforme hanno fatto sì che si scatenasse una sorta di dipendenza da post, da like e da condivisioni, arrivando anche al paradosso che ci si innamora, si parla, si fa amicizia e ci si arrabbia senza neanche conoscere l’interlocutore che si ha di fronte. Il social non è più una semplice applicazione, ma è diventato una parte irrinunciabile della società, con la conseguenza che spesso si “vive” più online che offline. Se non ci credete, guardate nelle informazioni del cellulare quante ore passate sulle app social, e rabbrividite.
Mark Zuckerberg, con Facebook, è stato il pioniere (anche se l’idea di social e interconnessione era iniziata già da un po’), dopo di lui una valanga di applicazioni hanno provato a spodestare il colosso americano. Lentamente hanno iniziato a proliferare piattaforme di ogni genere, che si assomigliano o condividono la stessa mission, ma forse – tra le tante – due su tutte, sicuramente più di nicchia, si sono distinte: LinkedIn: social per i professionisti, che mette in relazione le persone a fini lavorativi e aziendali; e Twitter: social di opinione, di poche parole, che grazie ad un cinguettio ci mostra come gli opinion leader mondiali (presidenti della Repubblica, grandi imprenditori, testate giornalistiche e grandi esperti di settore) possano influenzare fortemente l’opinione pubblica, e non solo.
Mentre il mondo dei social di massa, quindi, si rincorre e si fa concorrenza, LinkedIn e Twitter sono diventati nel tempo le colonne solide di un gruppo ristretto e più “intellettuale”. Anche se forse, adesso, non è più così.
Twitter, poco più di un mese fa, è stato comprato da Elon Musk (considerato da Forbes – novembre 2022 – la persona più ricca del mondo), che ha subito distrutto quel senso di sicurezza e stabilità che solo Twitter dava agli utenti, una sicurezza che si evidenzia in ogni #instagramdown #whatsappdown.
La querelle con Stephen King
Partiamo dall’inizio. Elon Musk ha comprato Twitter per 44 miliardi di dollari e The Verge (rete statunitense di notizie, storie, guide, recensioni di prodotti e podcast) ha pubblicato delle indiscrezioni sul nuovo piano abbonamenti. Stephen King (uno dei profili Twitter più seguiti al mondo con i suoi 6.982.410 follower) ha twittato il suo immenso dissenso. «20$ al mese per tenere la mia punta blu? Col ca**o, dovrebbero pagare me. Se dovessero istituire questa cosa, sparirò come la Enron» (la Enron è un’azienda statunitense che nel 2001 fallì improvvisamente).
Elon Musk, invece di lasciar correre, ha risposto alla lamentela iniziando una trattativa con lo scrittore e quindi tradendo anche la sua intenzione di far pagare le spunte blu, twittando addirittura i servizi offerti dal nuovo abbonamento.
All’istante hanno iniziato a proliferare account fake (con la spunta blu) di aziende importanti, come il profilo Nintendo America con Super Mario che alza il dito medio.
Peggio è andata all’azienda farmaceutica Eli Lilly che, a causa di un post dell’azienda clone fake (verificata con spunta blu) che twittava “Insulina gratis”, ha avuto un calo dei suoi titoli pari al 4,45%, ovvero una cifra che si aggira intorno ai 15 miliardi. A poco è servito il tweet successivo in cui il vero account si scusava per il messaggio fuorviante del falso account.
La nuova gestione
Mentre Twitter tentava di aggiustare il tiro sulla spunta blu, bloccando la richiesta degli account che vogliono il “verificato”, lasciandoli in sospeso per un periodo di 90 giorni (ancora non si sa che cosa succederà passato il periodo di fermo), è iniziata una campagna di licenziamento senza eguali che sta facendo saltare sulle sedie i dipendenti dell’azienda e l’intera opinione pubblica.
Nelle e-mail mandate a tutti i dipendenti si chiedeva di «lavorare di più» e «più intensamente». I lavoratori, in accordo con la nuova gestione, avrebbero dovuto compilare un modulo entro le 5PM e cliccare YES, nella certezza (o speranza) che quel “sacrificio” fosse ripagato dalla creazione di un’azienda più efficiente; coloro i quali, invece, fossero stati in disaccordo con questa nuova politica aggressiva, sarebbero stati licenziati con un preavviso di 3 mesi.
Gli uffici sono stati chiusi per qualche giorno e contemporaneamente sul social sono stati diffusi due hashtag tra tanti, #RIPTwitter e #Twitterdown. Le informazioni trapelate, dopo questi comportamenti conosciuti a tutti, riferiscono che molti dipendenti si sarebbero dimessi dopo l’ultimatum di Musk, colpevole di non creare un clima sereno e stabile: contestando i profili, licenziando manager per poi riassumerli, annunciando la fine dello smart working per poi ripensarci. Tutto questo mentre si disputano i Mondiali, uno degli eventi più importanti per Twitter, che può addirittura rischiare un sovraccarico, vista la quantità spaventosa di personale licenziato.
La polemica andrà sicuramente scemando col passare delle settimane, e solo il tempo ci dirà se la sua gestione sarà o meno efficace. Capiremo se dovremo celebrare i funerali di Twitter – per come lo conosciamo oggi – o se la piattaforma diventerà realmente più performante. Sicuramente Elon Musk ha poco a cuore gli utenti, quello che gli interessa – giustamente – è che la sua azienda fatturi, anche se per ottenerlo dovesse scendere a compromessi e trasformare Twitter in un “altro social”.