Maltrattamenti: la regola di disciplinamento negli istituti di cura

Maltrattare chi sta male. È ingiusto, ma umano. Accade piuttosto spesso a chi si trova a contatto con persone malate e disturbate. Il malessere diventa una routine e ad esso ci si confà. Diventa lo strumento di risposta e reazione. Il dolore, sia proprio che altrui, spazientisce e incattivisce. È un virus che attacca chi non ha anticorpi abbastanza forti da resistergli. Chi cioè si perde nell’irrazionalità della sofferenza. I maltrattamenti su chi soffre possono essere la risposta frustrata di una mente stanca e atrofizzata, ma anche altro. Possono essere perpetrati come tecniche e strategie di disciplinamento. Infliggere terrore e dolore, punire e ripunire modifica i comportamenti di chi subisce. Maltrattare per punire per disciplinare per addomesticare. Ma cosa? Una malattia psichica o la vecchiaia? In ogni maltrattamento c’è una nota subdola e vigliacca, ecco perché le vittime prescelte sono quelle che non possono reagire, lontane dai cari e da occhi indiscreti. Il diritto alla salute, in questa ottica, è il diritto di chi osserva e non solo di chi è osservato, è il diritto di chi può nominare quanto subisce, spetta a chi può tutelarlo. A chi riesce a difendere se stesso, pur stando male, e questo è praticamente impossibile per chi è confinato nelle case di cura o nei centri sanitari di riabilitazione.
È di ieri la notizia di ripetute violenze e maltrattamenti perpetrati all’interno dell’istituto di riabilitazione dei Padri Trinitari di Venosa, a Potenza, che hanno portato all’arresto domiciliare di otto educatori e assistenti ai disabili. Le misure cautelari, però, sono quindici e comprendono anche due provvedimenti di interdizione dalla professione per due medici, uno di questi è un neuropsichiatra, e cinque divieti di dimora a Venosa, fra questi anche padre Angelo Cipollone, responsabile legale dell’Istituto medico psico-socio pedagogico “Ada Ceschin Pilone”. I reati contestati a vario titolo sono concorso in maltrattamenti, falsità ideologica ed omissione di atti d’ufficio. È stato arrestato anche un ex paziente della struttura, assunto come assistente per i disabili con problemi psichici, in totale 140.
I carabinieri del Nas hanno parlato di maltrattamenti “ripetuti” e “violenti” ai danni degli ospiti dell’istituto, disabili necessitanti di cure e aiuto nelle pratiche della quotidianità da trascorrere all’interno della struttura.
Calci, pugni, schiaffi e trascinamenti a terra, per il trasferimento dal corridoio alle stanze: questo il servizio offerto dalla struttura riabilitativa. Riabilitativa si fa per dire, poi. La mancanza di qualificazione professionale degli educatori ho prodotto la cosiddetta “riabilitazione invisibile”, accertata da consulenze tecniche di psichiatri e psicologi, che hanno testato i pazienti. Oltre ai maltrattamenti fisici, gli educatori promuovevano un atteggiamento di totale disinteresse nei confronti dei disabili, trascurando i più «elementari bisogni assistenziali affettivi e riabilitativi dei pazienti». In uno dei video esaminati si vedono due educatori, ora arrestati, mentre giocano a carte fra loro, dando le spalle ai pazienti.
L’inchiesta “Riabilitazione invisibile” è partita dalla denuncia della madre di un paziente, la quale aveva più volte notato lividi e graffi sul corpo del figlio. Le indagini, iniziate nel novembre 2016, sono state svolte tramite intercettazioni audio-video e telefoniche, ma anche tramite ispezioni, riscontri di testimoni e acquisizione di documentazione sanitaria. Dalle 22 cartelle cliniche prese in analisi, il Nas ha potuto riscontrare che i due medici della struttura hanno più volte omesso alcuni ricoveri dei pazienti presso il pronto soccorso, per ferite lacero-contuse e traumi cranici.
Non è certo il primo caso di maltrattamenti perpetrati all’interno di una struttura sanitaria, anzi. Negli anni si sono susseguiti atti di violenza sia su disabili che su anziani ricoverati nei centri adibiti alla loro accoglienza e cura. Diversi, purtroppo, anche gli atti di violenza sui bambini dell’asilo e della scuola d’infanzia.
Soltanto negli ultimi tre o quattro anni si sono avvicendati fatti molto simili a quello di Venosa. Nel 2016, i carabinieri del Nas, insieme ad un gruppo di carabinieri di Frascati, avevano arrestato dieci operatori e assistenti socio-sanitari dipendenti del centro di Riabilitazione neuropsichiatrico di Grottaferrata, “Eugenio Litta” (Roma). I disabili venivano picchiati e segregati nelle loro stanze: l’indagine era iniziata nel 2015, in seguito alle denunce presentate dai vertici della società gestore della struttura. Venivano denunciati sospetti episodi di coercizione e lesione accaduti all’interno di un reparto, in cui erano ospitati sedici ragazzi dagli 8 ai 20 anni. Strattonamenti, percosse e insulti erano la prassi quotidiana, il disciplinamento applicato all’interno del centro.
Anche le case di riposo per anziani sono state spesso cornici di scenari riprovevoli, come è successo nel gennaio scorso nella comunità alloggio di Oristano, “Villa Rosina”. La 59enne che gestiva la casa di riposo insieme al figlio è stata arrestata con l’accusa di violenza di natura fisica, psicologica e morale. I maltrattamenti erano iniziati nel 2015 e solo tre anni dopo è stato possibile fermare la donna e i suoi scempi. Gli anziani erano «debilitati, indifesi, affidati alla struttura per ragioni di assistenza sono stati vittime di condotte piuttosto violente», spiegano gli agenti della Mobile oristanese, sottolineando anche la somministrazione impropria ed eccessiva dei farmaci, che serviva a calmare i pazienti durante le visite dei familiari.
A settembre 2017 era stata invece la volta della casa di riposo di Predappio (Forlì): anziani legati come cani al guinzaglio. Un prete sessantunenne, direttore della struttura religiosa-socio assistenziale “Opera San Camillo” e la sua più stretta collaboratrice, una donna quarantenne, sono stati sospesi dall’esercizio del pubblico servizio. I circa trenta pazienti con disabilità psicofisiche, tutti over 70, sarebbero stati legati, senza autorizzazione medica. Polsi, caviglie o addome venivano bloccati a letti, sedie, termosifoni e divani, per impedire ai pazienti di potersi muovere liberamente o di andare in bagno, anche per molte ore consecutive.
Al 2014 risalgono i fatti della Rsa (Residenza sanitaria assistenziale) di Narnali (Prato), in cui la Asl ha deciso di sostituire interamente il personale della struttura. Gli infermieri utilizzavano i pazienti come valvola di sfogo, picchiandoli e mortificandoli. Le telecamere installate nel 2015 all’interno della struttura mostrarono scenari raccapriccianti: infermieri che, oltre a picchiare i pazienti malati di Alzhweimer, li insultavano, li deridevano e rubavano i loro oggetti personali. È stato questo il caso che ha sollecitato l’inasprimento delle condanne per coloro che maltrattano anziani e disabili all’interno dei centri sanitari e la necessità di apporre telecamere di videosorveglianza che controllino l’operato del personale socio-sanitario. Videosorveglianza per impedire di infierire su chi sta morendo: avviene nel mondo degli umani.