Conoscere le (non) razze per non essere razzisti

Le razze: entità effimere, obsolete e superate. È la genetica a stabilirlo. Siamo molto più parenti di quanto pensiamo.
In un periodo di forti tensioni sociali, in cui le parole integrazione e accoglienza fanno tremare i pavimenti, potrebbe essere utile fare un po’ di chiarezza, riguardo all’alterità, che tanto spaventa. Ci si schiarisce le idee partendo dalle basi, in questo caso dalla biologia.
Il termine razzismo, considerato dal punto di vista etimologico, è composto da razza, dal latino generatio oppure ratio (natura, qualità), e il suffisso ismo, dal latino ismus (classificazione, categorizzazione). Dunque razzismo è classificare secondo natura. Considerare, cioè, alcune razze superiori per natura ed altre inferiori. Fin qui niente di nuovo. Ma esistono basi scientifiche in virtù delle quali è possibile sostenere e abbracciare la discriminazione razziale?
La genetica risponde di no. La biologia dà per assodato che i componenti della specie Homo sapiens sapiens costituiscano un unico insieme omogeneo. Le diversità fisiognomiche dei vari gruppi etnici sono spiegabili attraverso l’adattamento al proprio habitat, e non dal punto di vista genetico. La biologia afferma che possono comparire maggiori differenze genetiche all’interno di una popolazione che presenta un aspetto simile.
Il termine razza è stato rimosso dalla biologia per quanto riguarda la classificazione tassonomica, viene utilizzato esclusivamente in zootecnica, in riferimento agli animali domestici. Continuare a distinguere per razze significa, moralmente e scientificamente parlando, ridurre la dignità di un uomo a quella di un gatto o a quella di un pappagallo.
L’aspetto esteriore, in base a cui stabiliamo il grado di vicinanza o di lontananza degli altri, rappresenta la minima parte dell’intero genoma umano. Motivo per il quale individui che discordano vistosamente su pochi geni, relativi al colore della pelle o al taglio degli occhi, possono poi condividere caratteristiche genetiche molto più complesse ed importanti, anche se non altrettanto evidenti.
La biologia, attraverso la genetica, e la morale, attraverso la ragione e l’empatia, urlano il medesimo messaggio: gli uomini simili o diversi che siano, non hanno livelli di importanza.
Luigi Luca Cavalli Sforza, genetista e scienziato italiano, e Anthony William Fairbank Edwards, genetista e biologo britannico, si sono mossi nella direzione della decostruzione scientifica del concetto di razza e quindi verso la sua falsificazione, costruendo un albero filogenetico dei rapporti parentali tra le popolazioni del mondo. Hanno utilizzato i tratti genetici come criterio di valutazione, sovvertendo completamente le parentele della Morfologia e dell’Antropologia classica. I popoli dell’Europa e dell’Africa si ponevano insieme in una parte dello schema, risultando molto simili tra loro, mentre dall’altra parte dello schema comparivano insieme i popoli dell’Asia e dell’Australia, geneticamente affini. Il modello ruppe con la tradizione precedente abituata ad associare le popolazioni asiatiche con quelle europee da una parte, e quelle africane e australiane dall’altra, poiché il principale criterio di analisi e ricerca era il colore della pelle. Se la razza fosse stata effettivamente un fatto di natura, la filogenesi morfologica avrebbe dovuto coincidere con quella genetica. Ma così non è.
Il razzismo è una convenzione, tanto quanto lo sono i semafori. Entrambi, tra l’altro, ordinano il traffico e ritmano il passo, con la differenza che il primo si avvale della violenza, mentre i secondi dell’attesa.
Un altro importantissimo passo verso la falsificazione del concetto di razza è stato fatto da Richard Charles Lewontin, nel 1972, quando ha dimostrato che ben il 90% delle differenziazioni genetiche avviene all’interno della stessa popolazione, mentre soltanto il restante 10% avviene tra popolazioni diverse. Ciò significa che un europeo e un africano differiscono geneticamente tra loro solo del 10% in più rispetto a due europei o a due africani.
I confini genetici tra i popoli o non esistono affatto oppure sono talmente lievi che l’unico limite alla mescolanza genetica è di natura culturale, ma non certo razziale.
Rebecca Louise Cann, Mark Stoneking e Allan Charles Wilson hanno spiegato il motivo della maggiore somiglianza fra africani e europei, rinvenendolo nella colonizzazione dell’Europa da parte di gruppi di Homo sapiens emigrati dall’Africa. Noi e gli africani per un lungo tempo siamo stati la stessa popolazione. Insomma la maggior somiglianza genetica fra africani ed europei è spiegabile in virtù della loro più stretta parentela.
Il razzismo scientifico e l’eugenetica
Si definisce razzismo scientifico quella corrente pseudoscientifica, sorta nel 1800 in Europa e in America in ambito universitario, in base alla quale le scienze naturali e sociali (biologia, genetica, medicina, antropologia e sociologia) avvaloravano teorie discriminatorie in nome della teoria evoluzionista darwiniana e positivista.
La premessa, considerata oggi ascientifica, era quella di ritenere il genere umano scisso in razze, ognuna delle quale stabile ad un grado di evoluzione diverso rispetto alle altre. Peccato che per la suddivisione in razze, il razzismo scientifico si avvalesse dei criteri della zoologia, ovvero la scienza che studia gli animali ed i protozoi. In questa classificazione si ammisero graduatorie che presupponevano alcune razze come superiori per livello evolutivo e intellettivo rispetto alle altre. In particolare questa corrente credette di certificare che la cosiddetta razza bianca (in particolare la razza ariana) avesse raggiunto il livello massimo dell’evoluzione naturale della specie umana.
Da qui il passo verso l’eugenetica è stato breve, ma interminabile il suo decorso discriminatorio. Innanzitutto l’eugenetica non si limita a classificare. Il suo significato è racchiuso nel nome: eu (buona) – genia (discendenza). Non si tratta “solo” di distinguere, è necessario distinguere per. Per preservare e mantenere la buona discendenza della giusta razza.
Di nuovo. Da qui il passo verso le camere a gas è stato breve, ma interminabile il suo decorso omicida. Il compito dell’eugenetica è tutelare la purezza del patrimonio genetico dei popoli sani, privi di mutazioni genetiche o presunte tali, capaci di trasmettersi alla prole. L’utopia della perfezione umana, in termini eugenetici, era realizzabile evitando matrimoni e rapporti interrazziali, che potessero portare alla nascita di prole razzialmente spuria: contaminata ed imperfetta.
La Dichiarazione sulla razza
La Dichiarazione sulla razza (1950) sancisce il rifiuto scientifico e politico del razzismo scientifico. La seconda guerra mondiale e l’olocausto hanno dimostrato l’urgenza di una Carta in grado di stabilire l’uguaglianza biologica ed ontologica degli uomini. La Dichiarazione della razza decretò la non esistenza delle razze umane e incoraggiò i numerosi biologi a ricordare costantemente l’assenza di validità scientifica della nozione di razze umane. Evidentemente niente di tutto questo può essere considerato sufficiente.