Stalking: l’omicidio dell’amore perduto

“Chi è amato non conosce morte, perché l’amore è immortalità, o meglio è sostanza divina. Chi ama non conosce morte, perché l’amore fa rinascere la vita nella divinità”. (Emily Dickinson)
Francesca è morta. È morta ammazzata. Ad ucciderla è stata la possessività opprimente dell’ex marito, Massimiliano Bagnoni. Ha voluto ucciderla, prendendola a coltellate, proprio alla vigilia del 14 febbraio, per impedirle «di festeggiare San Valentino con il suo nuovo amore. Voleva che lei fosse sua per sempre. Se ci fossero state le bambine probabilmente avrebbe ucciso anche loro», spiegano le amiche di Francesca Citi (45 anni).
Dopo averla uccisa, l’ex marito si è tolto la vita. I corpi sono stati ritrovati nello studio dentistico, in piazza Attias (Livorno), dove lavorava Francesca. Ieri mattina, infatti, sola nello studio, lo ha lasciato entrare, persuasa dalla sua apparente tranquillità. Per ora si ipotizza, infatti, che tra i due si sia verificata una lite, conclusasi in maniera tragica. I condomini hanno confermato di aver sentito delle urla. A trovare il corpo è stato il compagno della donna, che era andato a cercarla perché non rispondeva al telefono. Mentre il cadavere dell’uomo è stato trovato, dopo l’arrivo dei carabinieri, in bagno.
I trascorsi burrascosi sembravano ormai passati, l’intenzione della donna era quella di mantenere un rapporto civile con il padre delle proprie figlie. I problemi erano iniziati qualche anno fa, tanto che a metà 2016, Francesca era arrivata a denunciarlo a causa dei continui pedinamenti, delle telefonate incessanti e delle minacce sempre più pressanti. L’ordinanza del Gip di Livorno aveva predisposto la custodia cautelare per un anno e quattro mesi di arresti domiciliari, con fine pena il 17 novembre 2017. In questa data scadeva anche il divieto di avvicinarsi alla donna. Dettaglio che deve far riflettere sull’efficienza della legge stessa, poiché da novembre ad oggi sono trascorsi appena tre mesi, nei quali, come confermano i carabinieri, Massimiliano «non ha evidenziato ulteriori condotte persecutorie nei confronti dell’ex moglie», ma è chiaro che fosse soltanto una strategia per stemperare le tensioni. Divieto non avvicinarsi tra l’altro violato, perché su Massimiliano pendeva ancora un giudizio, relativo ad una segnalazione, dello scorso luglio, dei vicini di casa di Francesca, che lo avevano visto passare sotto casa di lei, a Nibbiaia.
Sul cadavere dell’uomo verranno eseguiti test tossicologici per stabilire se l’esplosione improvvisa di violenza sia stata causata da assunzione di droghe o alcool, o da una premeditazione intenzionale. La stessa Francesca, negli ultimi mesi, tentava di rassicurare parenti e amici, perché quell’incubo sembrava veramente finito. Il primo pensiero non può non andare alle due figlie, ora più che mai nel vortice dell’incubo, orfane di madre, padre e di speranza.
Cosa non funziona della legge sullo stalking
L’articolo 612 bis, inserito nel decreto legislativo del 23 febbraio 2009, delinea i termini del reato di stalking o di atti persecutori, stabilendo che «salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotta reiterata, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. […] Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi».
Ogni anno sono circa 70.000 le donne che subiscono abusi e la maggior parte di questi avviene per mano dei propri coniugi o di persone affettivamente vicine. Il reato di stalking o atti persecutori, incrimina quelle condotte reiterate di molestia o minaccia che causano rilevanti disagi psichici alla persona offesa.
La reiterazione e il limite temporale per sporgere denuncia rappresentano le due falle della legge, non a caso sono due elementi strettamente correlati. Le vittime di stalking non vengono adeguatamente tutelate anche perché, accanto alla reiterazione degli atti, per la consumazione del reato è necessaria la produzione di almeno uno degli eventi menzionati dalla norma, ovvero: a) un perdurante e grave stato di ansia o di paura nella vittima e b) un fondato timore per l’incolumità propria, di un prossimo congiunto o di persona legata alla vittima da una relazione affettiva. Elementi questi che lasciano un ampio margine per le acrobazie legali e gli sconti di pena, a causa dei quali ogni anno centinaia di donne perdono la vita.
Violenza di genere
Partendo dal presupposto che la violenza di genere non è altro che il risultato di una tradizione culturale intrisa di maschilismo e misogina, è necessario porre attenzione sui metodi preventivi. Le leggi servono per contenere il problema, ma non possono e non devono essere la soluzione definitiva. Si parla sempre della sensibilizzazione come metodo di prevenzione, quando in realtà l’unica strada preventiva è la formazione al rispetto, alla cura e al diritto alla vita.
E questo non sta avvenendo: i numeri parlano da soli. Le donne uccise da uomini gelosi e possessivi, l’anno scorso, sono state 113, secondo il bilancio dell’associazione Sos Stalking relativo al 2017. A ucciderle sono stati, nella maggior parte dei casi, i mariti, i compagni, gli ex. Due delle donne assassinate aspettavano dei bambini e i feti, di 5 mesi in un caso, di 6 nell’altro, sono morti con loro. Nel 2016 in Italia sono state uccise 115 donne, nel 2015 sono state 120, 117 vittime nel 2014 e 138 nel 2013.
«Si stima che su 3.466.000 vittime il 78% non abbia sporto querela, soprattutto per la sfiducia che viene riposta nelle Autorità che spesso tardano a fornire un primo aiuto», afferma l’avvocato Lorenzo Puglisi, presidente e fondatore di Sos Stalking. E continua: «il 20% dei femminicidi è stato preceduto da una misura cautelare che disponeva un divieto di avvicinamento. Misura che, di fatto, si è rivelata inefficace a causa dell’insufficiente potere dissuasivo di un provvedimento che, restando unicamente sulla carta stampata, non fornisce alcuna reale garanzia per le potenziali vittime e che potrebbe essere fortemente ridimensionato potenziando gli strumenti in uso alla magistratura come i braccialetti elettronici».