Ho visto Anna Frank all’Olimpico!

Anna Frank scriveva il suo diario, dandogli del tu, immaginando un interlocutore. Io immaginerò di parlare con i tifosi minorenni che hanno utilizzato il suo sorriso come insulto.
Se ignori la Storia, nel caso specifico la Storia Contemporanea, e i tragici avvenimenti che la contraddistinguono, non hai il diritto di parlarne e tanto meno di denigrarla, facendola entrare allo stadio. Puoi solo informarti, leggere, studiare e studiare e leggere e leggere e leggere, imparare, riflettere e indignarti per la crudeltà di cui sono capaci gli uomini. Se invece hai un vago sentore o una confusa idea delle vicissitudini che hanno caratterizzato la Seconda guerra mondiale e i campi di sterminio, approfondisci l’argomento e coinvolgi gli amici meno interessati. Se non ti va, “va bene lo stesso”, ma non portare Anna Frank con la maglia della Roma all’Olimpico, perché fa schifo. Se la tua fede è il calcio, la Lazio, va bene. Ma l’antisemitismo e i cori fascisti che c’entrano con il calcio? Se hai il coraggio di associare, anche solo vagamente, una partita al più grande genocidio che la storia ricordi, va a scuola e studia. Non credo che servirà a tanto, ma tentar non nuoce.
L’immagine di Anna Frank con addosso la maglia della Roma è raccapricciante e vergognosa, provoca indignazione, rabbia e sgomento. Non certo per l’immagine in sé, ma per quello che sta a significare: il messaggio è arrivato forte e chiaro. Essere ebreo = essere da disprezzare. La parola “ebreo” è considerata, ancora, come un insulto, al pari dell’omosessualità.
Non è certo la prima volta che gli ultras laziali dimostrano una forte vicinanza all’estrema destra, all’antisemitismo e al razzismo in generale. Espressioni come ‘Romanista ebreo’, ‘Romanista Aronne Piperno’, ‘Romanista frocio’ sono da sempre gli slogan della tifoseria più accanita. Onestamente ignoro i processi mentali che hanno permesso a questi tifosi di sbeffeggiare il volto della vitalità pulita e speranzosa, simbolo mondiale che testimonia l’orrore dell’olocausto. Però so che Anna è morta di stenti e di tifo nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, a soli 16 anni, nel 1945. So che nelle pagine del suo Diario, mentre era costretta alla clandestinità ad Amsterdam, scriveva: «sono felice di natura, mi piace la gente, non sono sospettosa e voglio vedere tutti felici e insieme». Tutti felici e insieme, come allo stadio durante una partita? Teoricamente si. Sono sedici, per ora, le persone identificate come colpevoli, fra i quali tre minorenni: 13, 16 e 17 anni. Coetanei di Anna, più o meno, quando è morta. Ragazzi che sicuramente hanno sentito raccontare la sua storia dai professori a scuola e l’unico spunto che hanno saputo trarne sono stati adesivi antisemiti. Il reato di cui potrebbero essere imputati i magnifici sedici, tranne il tredicenne non perseguibile dalla legge, è istigazione all’odio razziale. Rischiano una condanna da 1 a 4 anni e un DASPO di diversi anni, il divieto di assistere a manifestazioni sportive. Probabilmente, alcuni dei sospettati fanno parte degli Irriducibili, uno dei principali gruppi della tifoseria organizzata della Lazio. In un comunicato diffuso martedì, questi hanno però rifiutato la paternità dell’atto, ma allo stesso tempo hanno difeso i responsabili sostenendo che quella di lunedì è stata un’iniziativa di «scherno e sfottò».
Ma si, “famo ‘sta sceneggiata”
Il presidente della Lazio, Claudio Lotito, prima della visita alla Sinagoga di Roma spiega chiaramente quello che sarebbe andato a fare di lì a poco. Non che l’audio, forse smentito dallo stesso Lotito, sorprenda particolarmente: a giudicare dall’enfasi sgualcita della sua retorica, dall’assassinio della sua sintassi grammaticale e dalla superficialità della condotta dell’evento, le aspettative erano piuttosto basse. In ogni caso, il presidente, profondamente offeso dall’ovazione scarna che l’avrebbe accolto afferma: «il vice rabbino ci sarà? Solo il rabbino c’è? Non valgono un c… questi. Tu hai capito come stamo? A New York il rabbino, er vice rabbino. Famo ‘sta sceneggiata… te te rendi conto?». Martedì scorso, dunque, Lotito, accompagnato sicuramente dal profondo, palese e sentito senso civico e del dovere nei confronti della comunità ebraica, ma anche da una delegazione del club e da due giocatori, Wallace e Felipe Anderson, ha deposto una corona di fiori in Sinagoga, sotto la lapide commemorativa delle vittime dei deportati di Roma. Ma all’omaggio non hanno preso parte rappresentanti ufficiali della comunità ebraica di Roma. Le confidenze alle quali si è lasciato andare il presidente Lotito durante una telefonata sono state registrate all’aeroporto di Linate, dove si trovava per raggiungere Roma. Come primo difensore del presidente è intervenuto il parlamentare Pd, Dario Ginefra, suo vicino di posto sull’aereo. Questo racconta: «Lotito all’atterraggio a Roma cercava disperatamente un contatto attraverso i suoi col rabbino capo di Roma che però era a New York: questo è vero, ho sentito la ricerca di un contatto. La frase ‘facciamo questa sceneggiata’, invece non l’ho sentita». Una volta, però, che Ginefra ha ascoltato la registrazione della telefonata ha dichiarato in lungo post su Facebook, che Lotito dovrà spiegare bene la frase, ribadendo di non averla sentita, perché la Shoah non è stata una sceneggiata e non doveva esserlo neanche il gesto riparatore.
La corona di fiori è stata rivenuta nel Tevere, mentre navigava serena. A gettarla sono stati alcuni ragazzi della Comunità, offesi dalle parole di Claudio Lotito. La stessa presidente della Comunità ebraica Ruth Dureghello commenta in questo modo: «un rappresentante di una società di calcio che si esprime nel modo in cui abbiamo visto esprimersi alcuni di loro in questi giorni mi fa inorridire. In questo modo cade il sistema della responsabilità».
Fra cori e saluti romani: il triste epilogo
Ieri sera a Bologna, i giocatori della Lazio sono entrati in campo per il riscaldamento con una maglietta raffigurante il volto di Anna Frank e lo slogan “no all’antisemitismo”. Ma un centinaio di ultras laziali, aspettando di entrare allo stadio Dall’Ara (nel quale fra l’altro la curva San Luca è intitolata all’ex allenatore del Bologna, Arpad Weisz, ucciso dai nazisti in un campo di concentramento), ha urlato cori fascisti, cantando “Me ne frego” del Ventennio, accompagnato dal saluto romano. All’Olimpico, invece, dalla Curva Sud, dove la sera prima erano stati attaccati gli adesivi di Anna Frank con la maglia della Roma, è partito un inno giallorosso che ha coperto la lettura di un brano del Diario.