Banche, libri e giornali, insieme appassionatamente. Lo chiede l’Europa, lo impone la crisi.
Nelle ultime 24 ore sono giunte le conferme di due importanti matrimoni già nell’aria da tempo: Banca Popolare di Milano e Banco Popolare legheranno, a partire dal prossimo 31 dicembre, i propri destini; nel campo dell’editoria, l’Antitrust ha dato il via libera all’acquisizione, da parte di Mondadori, della divisione libri di RCS. Grande fermento quindi, che, in qualche modo, chiude il triangolo aperto da un’altra importante operazione progettata nelle scorse settimane, significativa più per ciò che rappresenta in termini “istituzionali” che economici: lo scambio di partecipazioni tra i due autorevoli e storici quotidiani Repubblica e La Stampa.
Ma torniamo ai due ‘vertici bassi’ del triangolo.
Operazione Bpm-Banco Popolare: trattasi di un’operazione che darà vita al 3° gruppo bancario italiano, gradino più basso di quel podio completato dai giganti Unicredit ed Intesa-Sanpaolo. Prima, significativa, italica fusione condotta nell’era del sistema di vigilanza unica BCE, e da questa ‘caldeggiata’. Così come ‘caldeggiatore’ e tifoso è stato Alberto Nagel, figura di spicco di Mediobanca. Oltre quattro milioni di clienti, 2500 sportelli, 118 miliardi di impegni verso i clienti e cabina di regia che resterà ‘delocalizzata’ tra Milano (casa della Bpm) e Verona (quartier generale Popolare).
Le aggregazioni nel sistema bancario e creditizio nazionale vanno salutate positivamente se si considera che tali operazioni vanno nella direzione di un più semplice e trasparente sistema bancario, nella creazione di grandi gruppi in grado di competere sul mercato comune europeo, puntellano e danno solidità all’economia nazionale, facilitano le funzioni di vigilanza e controllo, dovrebbero (almeno nelle attese) rendere più difficili accadimenti come quelli di MPS e Banca Etruria. D’altro canto però, ‘l’industrializzazione’ dei gruppi bancari rende sempre più difficile la sopravvivenza e la competitività del ‘credito locale’ , delle piccole banche di prossimità, vicine al territorio ed alla piccola e media imprenditoria: aziende di credito e risparmio che per quarant’anni sono state il ‘fluido evolvente’ del circuito economico italiano. Ed in questo solco, il pacchetto di provvedimenti varato dal governo Renzi a riforma del sistema bancario e cooperativo, non aiuta molto le banche ‘nazional-popolari’.
Discorso diverso merita l’accordo Rcs- Mondadori, autorizzato, sì, ma con tante e precise clausole di salvaguardia del mercato. L’autorità garante ha imposto una sorta di ‘commissariamento’ e cessione dei marchi Marsilio e Bompiani, al fine anche di mantenere la quota di mercato del nascente sodalizio editoriale sotto il 35%. L’antitrust ha anche dato specifiche disposizioni in materia di pubblicazioni digitali (ebook e market online), di pluralismo da preservare, di donazioni di testi da effettuare in favore di istituti scolastici e biblioteche ed il sostegno economico, per il prossimo triennio, alla fiera “Più Libri più liberi”. Dalle prescrizioni traspare, latente, la preoccupazione dell’autorità di garanzia di preservare e salvaguardare il pluralismo dell’offerta e degli autori, scorporando edizioni “storiche” tenute in pancia da Mondadori e incoraggiando i canali digitali per ampliare la platea dei lettori. Preoccupazioni giustificate poiché, quando si toccano gli assetti di settori chiave come quelli della cultura e dell’informazione, il rischio di perdere qualche “voce fuori dal coro” ed indipendente è sempre dietro l’angolo. Soprattutto se si considera, nel caso specifico, che Mondadori vuol dire Fininvest, che in quanto a media e cultura di massa ha già molto da dire.
Entrambe le operazioni di ‘fusione’, cui viene data conferma oggi, non sono che logiche ed attese conseguenze delle ‘condizioni al contorno’ dei due mondi in cui operano i soggetti interessati: l’ammiccamento Repubblica-Stampa spinge RCS e soprattutto Il Corriere della Sera (che sta digerendo l’uscita dal proprio ‘patto tra editori gentiluomini’ della Famiglia Agnelli) a trovare nuovi assetti economici, cedere rami d’azienda ed a recuperare fatturato; le misure di riforma del credito cooperativo partorite dal Governo Renzi e la crisi ormai sistemica del pur solido (nelle dichiarazioni) mercato bancario nazionale, spingono invece le due grandi banche del Nord (soprattutto Banco Popolare) ad incrociare destini, capitali e filiali.
Fusioni che non sono da salutare col sorriso in tutto e per tutto: gli investitori e le borse (con i titoli degli ‘attori’ già in forte crescita) sentitamente ringraziano. A Francoforte ghignano. Libero mercato e concorrenza sussurrano il loro ‘sarà per la prossima volta’.
Così è, se vi pare. È la crisi, baby. È l’Europa. È il buonsenso.