America 2024: quali previsioni
Ad agosto, il 77enne miliardario ed ex Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, era stato arrestato con l’accusa di aver tentato di ribaltare il risultato delle elezioni in Georgia. Il primo Presidente nella storia americana ad essere processato e trattenuto (per soli 20 minuti). Alla sua quarta volta con i problemi con la giustizia, anche in questa occasione, non era mancato il supporto della sua vasta fandom, con una foto segnaletica che ha fatto il giro del mondo, stampata su magliette e tazze in vendita online.
Ad oggi, Sydeny Powell, ex avvocata di Trump, si è dichiarata colpevole in quello stesso tentativo di sovvertire in Georgia le elezioni, vinte dallo sfidante democratico di allora e di oggi nella corsa alla Casa Bianca: l’attuale Presidente Joe Biden. La notizia arriva nella giornata di giovedì insieme a quella del ritiro del suo uomo, Jim Jordan, dalla corsa per diventare speaker della Camera. Jordan, facente parte della minoranza estremista dei Repubblicani, non ha ottenuto l’incarico nemmeno alla seconda votazione e ad oggi, la Camera americana non ha ancora uno speaker dopo che due settimane fa, il repubblicano Kevin McCarthy era stato rimosso con una mozione di sfiducia. Un voto storico, dato che la mozione è stata presentata dalla stessa ala destra del Partito repubblicano a cui appartiene McCarthy, passando con 216 voti a favore e 210 contrari. La vittima di dispute interne al Partito, destituito soprattutto con i voti dei fedeli a Trump.
Cosa ci dicono i sondaggi
Ma secondo un sondaggio diffuso a settembre da Abc-Washington, nell’ipotetico nuovo duello che potrebbe svolgersi a novembre 2024, Trump vincerebbe con il 51% dei voti contro il 42% di Biden. E anche se ad un mese dal sondaggio, i problemi con la giustizia e i contrasti in atto alla Camera tra i repubblicani, potrebbero influenzare il consenso del miliardario repubblicano, bisogna considerare che l’ arresto di Trump ad agosto invece di far calare il consenso, non ha fatto altro che aumentare la notorietà dell’ex Presidente. Infatti, secondo i dati forniti dai sondaggisti, i numeri dei tycoon sono migliorati negli ultimi mesi mentre quelli dell’attuale Presidente vanno sempre peggio. Biden viene bocciato non solo perché “fa fatica a reggersi in piedi” data l’età, ma anche per la gestione dell’immigrazione e dell’economia, con un tasso di approvazione al 23% nel primo ambito e al 30% nel secondo. Il tasso di popolarità generale scende invece al 37% contro il 56% che disapprova il suo operato. Seppur va preso in considerazione il trend generico del calo dei consensi, di un personaggio che governa rispetto a chi si trova all’opposizione, bisogna considerare anche un altro dato importante: la crescita del numero degli elettori democratici che vorrebbero un altro candidato nel 2024 (62%). La percentuale notevole potrebbe essere presa in considerazione dai democratici, dato che quei voti potrebbero trasformarsi in astensione, un po’ come è successo in Italia alle elezioni del 25 settembre. Ma è altrettanto vero che questa grossa fetta non ha un’opinione certa su chi potrebbe sostituire Biden: per l’8% dovrebbe essere la Vice presidente Kamala Harris, per un altro 8% Bernie Sanders, leader dell’ala più a sinistra dei dem. Infine, il 7% guarda a Robert F. Kennedy Jr., nipote di Jfk e attivista Novax, che si è candidato alle primarie democratiche giocando sulla fama del cognome. A questo 62% diviso sui nomi di un papabile sostituto, fa da contraltare il 74% degli elettori che crede che Biden sia troppo vecchio per un secondo mandato (80 anni), una percentuale aumentata di sei punti rispetto a maggio. Qualche caduta in più per Biden?
E l’età di Trump?
Anche il miliardario però, raggiunge un buon 50% di elettori che lo credono troppo vecchio (77 anni) ma in ogni caso, da quando ha lasciato la Casa Bianca nel 2021, l’approvazione del suo operato è passata dal 38% al 48%. La percentuale più alta registrata nei suoi quattro anni di mandato.
Nel globo: a tu per tu con un possibile Trump bis
La possibilità che Donald Trump torni alla Casa Bianca ha acceso il “campanello di allarme” negli uffici governativi del resto del mondo e in particolare in Europa. Gli alleati da Parigi a Tokyo considerano Trump un leader irregolare e poco interessato a coltivare legami a lungo termine, volti soprattutto a contrastare l’espansionismo russo e cinese. Al contrario altri, Pechino e Mosca in testa, vedono nella sua vittoria potenziali vantaggi: secondo gli analisti Trump sarebbe un leader più incline a stringere accordi per allentare le tensioni in punti caldi come l’Ucraina e Taiwan. Anche altri politici dell’area nazionalista e populista esprimono forte sostegno al miliardario repubblicano. Nonostante ciò, l’attuale amministrazione statunitense è ancora a guida democratica, quindi molti leader prestano molta attenzione nel fare dichiarazioni che possano irritare la Presidenza Biden, continuando a mantenere rapporti colloquiali (si guardi ad esempio il caso del Governo Meloni).
Tra i timori più diffusi c’è quello del rischio di una guerra commerciale globale. Come riportato dal Wall Street Journal, Trump ha minacciato di imporre nuovi dazi su tutti i beni importanti negli States. Una mossa che rischia di seminari divisioni nelle relazioni transatlantiche, oltre alla minaccia di ritiro degli Usa dalla Nato e che il suo ex consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton, ha descritto come una “quasi certezza” nel caso in cui venisse eletto.
C’è poi la questione dell’Ucraina: alcuni governi si stanno muovendo per blindare l’assistenza militare nel caso in cui nell’ipotetico Trump bis, si decidesse di ridurre gli aiuti militari: da un lato, membri della Nato come la Francia, verranno messi nelle condizioni di “assumersi maggiori responsabilità” se si considera anche l’aumento delle spese militari. Dall’altro, il Cremlino e la Cina nutrono forti speranze nella vittoria dei Repubblicani a guida trumpiana, non solo per il calo di aiuti militari a Kiev ma anche per la questione del piccolo Stato della Repubblica di Cina, conosciuto come Taiwan: oggi lo status quo dell’isola, messa continuamente alle strette dalla più potente Repubblica Popolare Cinese, potrebbe vacillare ulteriormente sotto Trump, se Pechino facesse concessioni sul commercio. È vero che per la Cina, Trump viene visto come il leader che ha scatenato le tensioni commerciali con gli Stati Uniti mentre Biden ha offerto la prospettiva di un ritorno al libero scambio commerciale. Ma Biden ha tenuto in vigore gran parte delle politiche del suo predecessore nei confronti di Pechino, mantenendo le tariffe doganali e aumentando le restrizioni sulle aziende tecnologiche cinesi.
In Europa invece, a sostenere Trump ci pensa il primo ministro ungherese, Viktor Orban: “continui a combattere, Signor Presidente! Siamo con te!” ha scritto in un recente post social, in difesa dell’amico americano travolto dai problemi con la giustizia.
In Medio Oriente infine, Trump rimane ampiamente popolare, specialmente tra gli elettori israeliani del Primo Ministro Benjamin Netanyahu. Ma lo stesso Trump nel 2020 aveva criticato il Primo Ministro per essersi congratulato con Biden per la vittoria. Anche nel conflitto in atto tra l’organizzazione terroristica di Hamas e lo Stato israeliano, gli occhi sono sempre puntati sulle mosse dei due contendenti alla Casa Bianca.
Il conflitto in Israele: quali influenze sulle elezioni?
Nelle ore che hanno tenuto tutto il mondo attaccato alla tv, quelle dell’attacco di Hamas allo Stato di Israele, c’è stata una voce inaspettata tra chi ha criticato apertamente Netanyahu: quella di Donald Trump. L’ex Presidente lo ha accusato di non essersi preparato adeguatamente all’invasione del gruppo terroristico che invece si sarebbe comportato in modo “molto intelligente” scegliendo di non attaccare (finora) Israele. Dunque, colui che aveva spostato a Gerusalemme l’ambasciata americana in Israele e che aveva spinto per gli Accordi di Abramo, finalizzati a formalizzare le relazioni diplomatiche tra Bahrain e Emirati Arabi, nel 2023 decide di criticare apertamente un potenziale alleato alla corsa alle Presidenziali. Lo fa durante un comizio, a West Palm Beach in Florida, svelando anche alcuni retroscena del rapporto con il Primo Ministro israeliano:
«quando gli Stati Uniti stavano pianificando l’uccisione del generale iraniano Qassem Suleimaini nel 2020, Israele ha prima collaborato con il governo americano e poi si è tirato indietro. Non dimenticherò mai che ci ha abbandonato»
Ad approfittare del momento, il Governatore della Florida Ron DeSantis e principale sfidante alle primarie repubblicane di Trump. Dopo aver condiviso su X il video dell’intervento ha dichiarato che come Presidente starà dalla parte di Israele e tratterà i terroristi “come la feccia che sono”.
Ma anche in questa occasione, Trump non si è risparmiato dal criticare lo sfidante dem: lasciando il tribunale di New York nella giornata di giovedì, ha affermato che l’attacco ad Israele è stato “scioccante” e che l’Iran con lui non avrebbe fatto una cosa del genere, definendo Biden come “inappropriato” per aver inviato aiuti umanitari ai palestinesi mentre si trovava in Israele. Qualche ora prima infatti, il Presidente si era recato in Israele per un colloquio con Netanyahu, all’indomani dell’attacco all’ospedale di Gaza. La rabbia crescente e le accuse reciproche tra Hamas e lo Stato di Israele, sulle responsabilità dei 471 morti accertati nella struttura ospedaliera, potrebbero mettere a rischio la strategia diplomatica americana: mentre i timori di un’escalation del conflitto aumentano, Biden ha esortato il Primo ministro a “non ripetere gli stessi errori degli americani all’alba del 11 settembre”.
Biden e Trump: ma i giovani?
Manca ancora un anno alle elezioni presidenziali ma la corsa alla Casa Bianca si concentra sempre di più sull’ex Presidente e l’attuale. La situazione interna al Paese è già da oggi influenzata da quella esterna, specialmente dai conflitti in atto. I sondaggi quindi potrebbero variare nei prossimi mesi. Ma rimane una questione fondamentale che come abbiamo visto, si è posta una grossa fetta dell’elettorato americano e degli analisti all’estero: dove sono i giovani? Kamala Harris era l’asso nella manica del mondo democratico nel 2020 ma ad oggi non è riuscita ad avere quel bacino di consensi che gli permetterebbero di candidarsi. Vicina a Joe Biden, rimane vicina al papabile candidato. Più a Sinistra, Alexandra Ocasio Cortez si fa portavoce dei valori mandati avanti da Bernie Sanders ma forse “troppo a sinistra” o forse perché è sparita dai radar della notorietà ultimamente, non è la candidata ideale. Tralasciando le figure femminili dem, a destra c’è Ron DeSantis che avrebbe qualche possibilità di strappare il primato a Trump. Ma a meno che i problemi tra Trump e la giustizia non peggiorassero, la strada delle primarie sarà molto difficile per il Governatore della Florida. Quel che è certo è che nella politica odierna statunitense i giovani sono ai confini e i due coetanei, come nel 2020, si preparano a lottare per il 2024.