Caro affitti: il ritorno delle proteste degli studenti

Primi di settembre. Ritorno a scuola. Un periodo simbolico per quello che è uno dei diritti fondamentali in una società democratica: il diritto all’istruzione. Ma, tra i minorenni che non possono permettersi il materiale scolastico e gli studenti che fanno fatica già al liceo ad arrivare a conclusione del ciclo di studi, in Italia c’è un ulteriore problema: l’elefante nella stanza, il caro affitti. I prezzi delle case stanno aumentando a dismisura, soprattutto in città importanti come Milano o Roma che oltre ad essere il centro dell’industria Made in Italy (per quanto riguarda Milano) e dell’amministrazione pubblica (per quanto riguarda Roma) ospitano le maggiori università. Dalla Sapienza alla più esclusiva Bocconi, le due città si aggregano ad altri centri culturali del Belpaese come Bologna e Firenze, dove anche lì, una stanza arriva a costare 978 euro al mese. In questo marasma, gli universitari hanno due scelte: o la fortuna di vivere “a pochi passi” dall’ateneo o quella di avere una famiglia alle spalle che possa mantenerli fuori sede, con una spesa che si aggira intorno ad un minimo di 1000 euro al mese. In alternativa, uno studente medio è costretto a rimanere nel proprio paese d’origine, rinunciare all’università o fare un lavoro part time, molto spesso perdendo anni di studio e con un contratto a nero. In questo futuro poco roseo, le nuove generazioni sono riscese in piazza continuando la “protesta delle tende” avviata in primavera e che tutti (o una buona parte) avevano già collocato nel dimenticatoio.
Il ritorno in Piazza a Milano
Nella città della moda, il 12 settembre sono tornate le tende in Piazza Leonardo da Vinci, di fronte al Politecnico. Stesso posto dove, in quella che era diventata una nuova “Primavera degli studenti”, Ilaria Lamera si era messa a dormire in tenda contestando gli affitti extra-lusso a Milano, dando il via ad un movimento di poteste in tutta Italia. Un fenomeno primaverile che come quelli metereologici, aveva suscitato l’interesse dei media, mettendo in cattiva luce le istituzioni. (Quando il diritto allo studio viene bloccato dal caro affitti – 2duerighe). Ma se si è ritornati in piazza ciò significa che la risonanza mediatica acquisita qualche mese fa non ha raccolto i suoi frutti, ovvero, risposte concrete dallo Stato.
Cosa ci dicono i dati
Rispetto a maggio infatti, quando il Governo Meloni aveva promesso di affrontare la crisi abitativa, gli affitti sono aumentati raggiungendo il prezzo medio più alto degli ultimi due anni a giugno 2023. Secondo il rapporto di Immobiliare.it, tra le piattaforme più note per la ricerca di annunci immobiliari, affittare un appartamento sul territorio nazionale costa circa 13 euro a metro quadrato con un aumento dell’11,8% rispetto allo scorso anno e del 3,8% rispetto ad aprile. L’inflazione diminuisce ma a quanto pare, gli affitti non sembrano seguire questo trend. Gli aumenti, sono spesso dovuti alla scelta dei proprietari di adeguare il prezzo alla crescita generale dei costi ma anche alla concorrenza con i “vicini di casa” che molto spesso sono i cosiddetti affitti brevi, ovvero quelli inerenti alle case vacanze.
Problema numero 1. Gli Affitti brevi: perché si investe sul turismo e non sugli studenti
Dalla pandemia, il numero di case in affitto è diminuito mentre le richieste sono aumentate. Dove sta l’origine del fenomeno? Il bene immobile può essere fonte di ricchezza e dunque il proprietario di una casa preferisce affittare su Airbnb o su Booking, guadagnando la stessa cifra che fa in un mese con uno studente, in 24 ore con un turista. C’è quindi uno scontro aperto: da una parte si punta alla tutela del settore turistico, che vede in piattaforme come Airbnb e Booking delle fonti di guadagno per nuovi stakeholders del settore e possibilità di viaggiare economicamente, soprattutto per le fasce più giovani (rispetto all’hotel). Dall’altra si devono necessariamente tutelare residenti e studenti, andando ad intervenire sui giorni di pernottamento, sui permessi di apertura di nuove case vacanza e sul contrasto al fenomeno dello spopolamento dei centri storici, ormai quasi ridotti a hotel, beb e case vacanze. Recentemente dal Ministero del Turismo è arrivata una risposta, con l’aggiornamento della proposta normativa presentata a maggio: non ci saranno deroghe all’obbligo di permanenza nelle città metropolitane per almeno due notti. Inoltre, scende da quattro a due il limite degli appartamenti in capo allo stesso proprietario e ci saranno multe fino a 10mila euro per gli immobili privi di sicurezza. La Ministra Santanchè si è detta soddisfatta per aver messo “in tempi rapidi la questione tra le priorità da affrontare nel settore del turismo”. Dalla Capitale, il Delegato del Sindaco alle Politiche Giovanili, Lorenzo Marinone, ha auspicato per “regole equilibrate che non disperdano le opportunità che gli strumenti di prenotazione digitale hanno dato a tutti e in particolare ai giovani, di potersi muovere con maggiore libertà e autonomia.”, consapevole comunque della necessità di “una disciplina più adeguata che lasci ai Comuni la possibilità di arginare i fenomeni di spopolamento dei centri storici”.
Problema numero 2. Gli immobili abbandonati
A questo punto, viene da chiedersi se effettivamente tutte le strutture immobiliari presenti sul territorio italiano siano inaccessibili per motivi economici. La risposta è no: in Italia ci sono oltre 2 milioni di edifici abbandonati. Secondo i dati del WWF la superficie urbanizzata su territorio nazionale, negli ultimi 50 anni è aumentata di 600mila ettari che corrisponderebbe a circa 370 mq a persona. In questo contesto è la stessa Ilaria Lamera a rilanciare il progetto dello “studentato diffuso” discusso con l’assessore alla Casa del Comune di Milano, Pierfrancesco Maran: si tratterebbe di ristrutturare 300 case sfitte di proprietà pubblica per un totale di 600 posti in giro per la città e non in periferia. Progetti simili sono stati avviati negli scorsi mesi da altri Comuni e Atenei. Dal Governo invece, al momento sembra essere stato cancellato, dopo cinque giorni dalla pubblicazione del decreto ministeriale del 12 maggio, il finanziamento collegato da 660 milioni di euro per la realizzazione di nuovi alloggi universitari, nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e che era stato istituito nel 2022 dal Governo Draghi. La promessa è che il progetto verrà reinserito in un nuovo decreto legge di cui però non si conoscono ancora le sorti.