Il 99,9% delle morti sul lavoro deriva da un errore umano

Il video diffuso dal telefono di Kevin Laganà, una delle vittime, conferma purtroppo quello che in qualità di giurista di impresa ho visto accadere molte volte in questi anni: la sicurezza sul lavoro è un problema molto sottovalutato in primis da chi la vita la rischia.
Ogni sei minuti nel mondo muoiono 25 persone in incidenti sul lavoro, ogni ora in Africa e Asia muoiono 13 bambini circa. In Italia ci sono 4 morti sul lavoro al giorno, più di 100 al mese, 1394 all’anno. I costi di questa strage planetaria ammontano a 1.251 miliardi di dollari, pari al 4 per cento del Pil mondiale, una cifra 20 volte superiore ai fondi stanziati per lo sviluppo.
Parlando in questi giorni con persone interne a RFI, mi veniva infatti confermato che la sicurezza in RFI è veramente ai massimi livelli. Ma, si aggiungeva, ci sono due grossi problemi. Uno che le molteplici procedure, per garantire la sicurezza, portano a diminuire lo spazio di lavoro (come tempo), ma questo è gestibile. L’altro, brutto a dirsi, è – cito testualmente – “…che il 99,9% degli incidenti (in RFI) è dovuto all’errore umano e qualsiasi tecnologia non può eliminarlo. Entrando nel merito, la troppa confidenza o la ripetitività delle lavorazioni, abbassa l’attenzione o il rispetto delle procedure. In questo caso, “abituati” che, l’ultimo treno passa ad una certa ora, hanno iniziato a lavorare senza aspettare l’autorizzazione. Purtroppo essendoci la linea To-Ge interrotta, hanno deviato un treno sulla Mi-To e per loro è stato fatale.”
Una ulteriore valutazione riguarda inoltre il fatto che, pur sapendo di lavorare senza l’interruzione della circolazione treni, i lavoratori non si sono protetti. Mi è stato spiegato infatti da esperti di RFI che ci sono modi per occupare il binario e evitare che il segnale sia verde. E neppure tra Dirigente Movimento e il collega che doveva ricevere il modulo per iniziare i lavori si sono messi “in sicurezza”, banalmente fermando il treno a Chivasso se non si era certi che il binario fosse libero. Insomma, un insieme di errori o un eccesso di sicurezza dato da una consuetudine instaurata che sono costati davvero cari.
C’è poi un altro tema che fa specie nessuno abbia ancora rilevato, ovvero il fatto che tanto il filmato di Lagana’ quanto la foto postata su Instagram da Zanera dimostrano con quanta leggerezza in certi ambienti vengono svolte mansioni pericolose. Oltre ai profili di violazione dei doveri di un lavoratore che utilizza i social network durante l’orario di lavoro, punto sul quale tanto lo statuto dei lavoratori quanto la cassazione si sono più volte espressi (la sentenza 3133/2019 ha ritenuto legittimo il licenziamento per chi usa i social network durante l’orario di lavoro) ci sono le palesi evidenze, riportate sopratutto dal filmato che, contrariamente a quanto hanno detto in molti, a parere di chi scrive non vanno ad accusare i superstiti ma bensì, ahinoi, sono una postuma ammissione di colpa da parte delle vittime. Evincere con quanta leggerezza certe mansioni pericolose nella sostanza (nessuno può pensare che lavorare sui binari di un treno non lo sia) vengono svolte dagli addetti ai lavori, venire a conoscenza che fosse una prassi lavorare e poi spostarsi quando una “vedetta” grida “Treno” e un qualcosa che addolora e lascia sconcertati, specie dopo fatti tragici come questi. Se poi si unisce l’uso dei social network nello svolgimento delle mansioni (e non c’è nessuno che possa negare l’abbassamento della soglia di attenzione durante l’uso dei nostri dispositivi) bisogna ammettere che il mix è davvero letale.
Il tema delle morti bianche è da sempre al centro della discussione quando si parla di lavoro, ma come abbiamo già avuto modo di dire forse la locuzione non è la più corretta perché troppe volte di “bianco”, cioè di incolpevole, non c’è nessuno. Le morti sul lavoro infatti, salvo i casi imprevedibili, spesso sono evitabili. E questo ultimo fatto di cronaca, ce lo conferma. Perché rispettare la vita e la morte di chi non c’è più è una cosa, ma appurare le responsabilità di ciascuno, senza addossare tutta la colpa ai sopravvissuti, è un dovere civile e giuridico a cui tutti siamo chiamati.