Crisi demografica: l’Italia registra il numero di nascite più basso dal 1861

Gli ultimi dati Istat, con riferimento al 2022, dimostrano che l’Italia è in chiara crisi demografica. Sono state registrate le cifre più basse dall’Unità.
In un clima di incertezze socio-economiche e diseguaglianze di genere tutte da risolvere, analizziamo lo status quo di un paese sempre più vecchio e che fa da catalizzatore alla frenetica fuga di cervelli.
Crisi demografica: cause e numeri
Se nel 1861 le nascite registrate erano 929 mila, nel 2022 le cifre si sono considerevolmente abbassate, arrivando a 393 mila nascite. Un altro dato che fa pensare riguarda il tasso di fecondità passato dall’1,45 (2008) all’1,24 (2022).
Perché facciamo meno figli? Le cause spaziano da motivi prettamente demografici a motivi socio-economici.
La crisi demografica in Italia è dovuta in primis al calo del numero di donne in età fertile (11,6 milioni), ma anche al fatto che fare figli è una scelta rimandata con sempre più frequenza (l’età media delle madri al parto è infatti di 33 anni).

Le coppie rinunciano sempre di più a fare figli e le famiglie diventano sempre più ristrette.
Come succede con qualsiasi forma di consumo, quando scattano crisi economiche, pandemie, guerre, le nascite si contraggono: fare figli viene visto come qualcosa di sempre più costoso e psicologicamente impegnativo.
I tempi in cui ci troviamo convincono le coppie (il 42%) che le possibilità in futuro saranno sempre meno: una tendenza alla distopia perpetua che scoraggia gli animi.
L’ombra del gender gap
Ad oggi, il Codice delle pari opportunità rende illecito chiedere a una donna se ha intenzione di fare figli.
Resta il fatto che, quando nasce un figlio, sempre più donne lasciano il lavoro. Non solo, 1 italiano su 2 crede che avere un figlio danneggi la carriera della donna.
Non bastano neanche i recenti passi in avanti compiuti con la nuova disciplina del congedo parentale, che tenta di aggiornare quella vigente del congedo di maternità e di paternità.

La ragione è che le indennità tra uomo e donna, nel periodo prossimo alla nascita del figlio, non sono le stesse. Il peso del mercato del lavoro non è uguale, tant’è vero che il principale problema odierno prende il nome di motherhood penalty.
A tutto ciò aggiungiamo le frequenti inceppature della macchina burocratica statale, così come la straziante lentezza delle pratiche, specialmente quelle sanitarie e sociali.
“Non è che non voglio fare figli, ma…”
La crisi demografica è una dinamica comune in UE: di meno in Francia, di più in Spagna, ma ormai caratteristica dell’Italia. Questo anche per via del fatto che in UE si lascia casa a circa 27 anni, mentre in Italia questo avviene toccando i 30.
Il paradosso è che le spiegazioni fornite alla scelta di non fare figli non riguardano l’argomento “figli” in sé, bensì la cornice storico-economica che persiste tutto intorno.
“Non c’è sicurezza”, “le cose potrebbero peggiorare da un giorno all’altro”.

Sullo sfondo, diventano sempre più aspre le polemiche riguardo al tema dell’aborto – a ritmo di slogan quali “My body, my choice” gridati nelle piazze – e diventa sempre più stringente (per non dire vietata) la regolamentazione della pratica dell’utero in affitto.
Tutti temi collegati, che creano una realtà confusionaria: meno nascite, meno mezzi (di cui nessuno nega la natura controversa) per favorirle, più contrasti e un alone sempre più di angoscia e morte relativamente all’atto che crea la vita.

La deriva di tale processo sono i giovani che fuggono altrove. C’è vergogna per il proprio paese, si cerca un posto dove le promesse vengono mantenute e dove è possibile realizzare la propria persona.
Il desiderio impellente è di crearsi un nucleo ben saldo, lontano da giudizi di valore che provengono dall’alto.