Addio al Papa emerito Benedetto XVI
“Se un Papa ricevesse solo applausi, dovrebbe chiedersi se non stia facendo qualcosa di sbagliato” così si esprimeva Joseph Ratzinger, meglio conosciuto come Benedetto XVI. Papa Emerito dall’11 febbraio del 2013, giorno in cui fa la storia: alle 11.41 parla ai cardinali riuniti nella Sala Clementina. In programma c’erano le canonizzazioni degli 813 martiri di Otranto uccisi dagli ottomani nel 1480 e di altre due beate, ma poi pronuncia alcune parole in latino, con le stesse intenzioni di Gregorio XII nel 1415 e di Celestino V nel 1294: “sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”. Un gesto che però non ha precedenti degli ultimi duemila anni della Chiesa Cattolica, perché compiuto in “libertà” e “coscienza” senza influenze esterne, in opposizione alle accuse di molti di essere stato “vittima di ricatti”. Accuse rinnegate da lui stesso in più di una dichiarazione.
La sporcizia della Chiesa
Nel 2005 Papa Wojtyla stava morendo e Ratzinger, a qualche settimana dall’inizio del suo pontificato aveva denunciato “la sporcizia della Chiesa” durante la Via Crucis al Colosseo. E questa è stata una delle sue missioni, una volta divenuto Papa, giocando un ruolo primario nella lotta alla pedofilia nel clero e la conseguente punizione dei colpevoli. Il tutto tramite una campagna di “tolleranza zero” e di “massima trasparenza”. Quella invocata da lui era una strada opposta a quella degli insabbiamenti o degli spostamenti dei pedofili da una diocesi all’altra. Una rotta che però non sempre fu seguita correttamente: l’emergere di numerosi casi di pedofilia nella Chiesa Cattolica fece scoppiare uno scandalo a livello globale fino a veri e propri “conflitti diplomatici”.
Il più noto quello del 2011, quando l’uscita delle relazioni governative sugli abusi della diocesi d’Irlanda innescò una crisi con Dublino. Inoltre, uno dei tanti casi di pedofilia finì per coinvolgere lo stesso Ratzinger, all’epoca in cui si verificò il cambio d’incarico di un prete e Benedetto ricopriva l’incarico di arcivescovo a Monaco di Baviera. Durante il suo mandato accettò di accogliere nella sua diocesi un prete sospettato di molestie sessuali sui minori, al solo scopo di farlo curare. Ma secondo quanto riferito dalla diocesi di Monaco, l’allora vicario generale, mons. Gerhard Gruber, decise di affidare al sospettato un ruolo pastorale in una parrocchia, all’insaputa dello stesso Ratzinger. Fu così che il sacerdote in questione si rese responsabile di nuovi crimini di pedofilia che lo portarono alla condanna a 18 mesi di carcere e una multa di 4mila marchi tedeschi. Una vicenda che è tornata a galla nel 2021 con l’uscita di un rapporto sugli abusi sessuali nell’arcidiocesi bavarese che accusavano lo stesso Papa Emerito di “comportamenti erronei nella gestione dei singoli casi (quattro in totale)”: nonostante Ratzinger partecipò ad una riunione nel 1980 sul caso del prete pedofilo in cui però non fu presa nessuna decisione su incarichi da affidare al sacerdote interessato, a Ratzinger venne contestato di non aver preso adeguati provvedimenti per evitare che le condotte del prete si ripetessero. Tanto da ricevere una denuncia al Tribunale provinciale di Traunstein, nella Baviera tedesca da una delle vittime del prete pedofilo. Il Papa Emerito a novembre 2022 avrebbe accettato di difendersi dalla causa. Ma quando il rapporto venne divulgato, Benedetto ammise in una lettera che sotto la sua guida pastorale a Monaco “erano stati commessi abusi ed errori”. Risale invece al 2010 il suo discorso in cui promise che la Chiesa avrebbe fatto tutto il possibile per fermare la piaga degli abusi sessuali. Fu il primo pontefice a chiedere perdono oltre ad incontrare le vittime di abusi in più di un’occasione, nel 2008 negli Stati Uniti e in Francia e nel 2010 in Inghilterra e a Malta. In quello stesso anno firmò delle norme più severe: con il documento “De delictis gravioribus” rese più efficaci le procedure giudiziarie per i casi di abuso sessuale.
“Perché io non fugga dai lupi”
La scelta di Benedetto XVI è stata da molti interpretata come “codardia”. Ma quando il 24 aprile in Piazza San Pietro disse: “pregate per me perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi” negli anni successivi mantenne la promessa, non fuggì. Semmai, prese una decisione che guardava al benessere della Chiesa Cattolica. Una decisione che molto probabilmente aveva preso da tempo. Gli otto anni del suo pontificato sono stati caratterizzati da spinte innovatrici insieme a fasi di profondo conservatorismo e insieme alle accuse legate ai casi di pedofilia non ne sono mancate altre: come quando decise di revocare la scomunica a quattro vescovi e uno di loro, a sua insaputa, era un negazionista della Shoah, qualche tempo dopo ringraziò “gli amici ebrei che hanno aiutato a togliere di mezzo il malinteso”. Un altro evento passato alla storia, quello del discorso pronunciato da Ratzinger 12 settembre del 2006 a Ratisbona sul rapporto tra fede e ragione e che arrivava a intravedere un incontro tra illuminismo e religione. Ma nel richiamare l’identità dell’Occidente, Benedetto suscitò la reazione del mondo islamico per il riferimento all’Imperatore bizantino Manuele Il Paleologo e ai suoi dialoghi su Bibbia e Corano. Nonostante le proteste del mondo mussulmano che portarono all’assalto di alcune chiese nel mondo da parte di alcuni manifestanti e alle scuse pubbliche del Papa, il testo che si presentava come “un invito al dialogo” resta una delle riflessioni più attuali su religione e fanatismo.
Un Papa che ha segnato la storia
Papa Benedetto XVI e Papa Francesco sono due facce della stessa medaglia: uno più conservatore ma dedito a delle aperture, l’altro più “moderato” che ha portato avanti il programma di quella stessa Chiesa Cattolica che anno dopo anno si trova a dover affrontare il nuovo millennio e una nuova generazione di fedeli che guarda al progresso, ai diritti, al dialogo tra passato e presente. Teologo, definito “uomo della parola più che di governo” a lui va comunque il merito di aver provato a riformare la Curia in un contesto complicato come quello del Vaticano. Nell’Angelus del 24 febbraio del 2013 disse: “non abbandono la croce ma resto nel recinto di Pietro” e difatti quella croce non l’ha mai lasciata, diventando “spalla” del percorso di Francesco, nel costante dialogo tra due pensieri diversi. Un confronto che ha trasformato nel profondo la Chiesa Cattolica.