Mossa Pelosi: il mondo si divide sull’atterraggio a Taiwan

Giorni “fortunati” quelli della scorsa settimana, almeno per l’app Flightradar24. Decine di migliaia di persone in tutto il mondo ne hanno usufruito, principalmente con un solo scopo comune: seguire il volo del jet Sparl9 con a bordo la Speaker della Camera Usa, la democratica ottantaduenne Nancy Pelosi.

Un viaggio istituzionale, quello in Asia, diventato temerario in seguito alla decisione della Speaker di atterrare nella capitale Taiwanese, Tapei. Una decisione che di certo non è passata inosservata ai vertici della Repubblica Popolare Cinese. L’azzardo della Pelosi ha costretto il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, ad una tesa telefonata con il Presidente cinese Xi Jinping, ricorrendo alla mediazione ad opera del Segretario di Stato Blinken. Gli Stati Uniti, impegnati a sostenere l’Ucraina contro la Russia, stanno provando a tenere fuori dai giochi la Cina che nel panorama mondiale, si sta affermando sempre di più tra le maggiori superpotenze. Ma anche Xi ha davanti un difficile 2022: con l’economia a rilento, i problemi legati ai durissimi lockdown per il Covid e la bolla immobiliare che sta impoverendo il ceto medio, il Presidente si ritrova a dover affrontare anche il Congresso del partito per chiedere il terzo mandato.
La questione geopolitica: dal commercio dei microchip al paragone con l’Ucraina
Per l’analista del Council on Foreign Relations, David Sacks, una resa dei conti Cina-Usa su Taiwan era inevitabile, anche senza il caso Pelosi. Ad oggi, il governo cinese non sopporta che la presidente taiwanese Tsai Ing-wen sia trattata da capo di una nazione indipendente. Xi Jinping ha promesso di non lasciare la questione irrisolta. Con il Congresso Comunista che gli concederà pieni poteri fino al 2027, il Presidente cinese avrà gli strumenti per un’eventuale azione di forza. Già da qualche giorno Taiwan è entrata in una “zona grigia”, ovvero le operazioni a fuoco che si fermano ad un passo dalla guerra, creando una situazione incerta permanente e già da mesi sono trapelate le notizie di un probabile blocco aero-navale dell’isola o di paralizzarla con cyberattacchi.

Una situazione questa che ha messo in allarme tutto il mondo. Basti pensare che Taiwan è tra i maggiori produttori di semiconduttori, vitali per tutti i prodotti tecnologici e per l’intera globalizzazione. Ma anche la stessa Cina è il primo partner commerciale di Taiwan, rappresentando il 26% dell’interscambi, seguita dagli Stati Uniti con il 13%, dal Giappone con l’11% e da Hong Kong e Ue con l’8%. Inoltre, Tapei non solo esporta tecnologia e buona parte delle componenti necessarie a produrle altrove, ma ha il controllo anche sul 10% delle navi che la trasportano nel mondo.
Altro nodo è quello riguardante i buoni rapporti tra Cina e Russia. Ma nonostante i due presidenti abbiano concordato una collaborazione senza limiti, pochi giorni prima dello scoppio del conflitto in Ucraina, i due stanno agendo in modo differente: la probabile azione militare su Taiwan metterebbe a repentaglio gli interessi economici della stessa Repubblica Popolare, motivo per il quale un’azione militare simile all’Ucraina sembrerebbe essere ancora improbabile.

Quelle della zona grigia dunque, sembrano essere al momento soltanto provocazioni, tra la persuasione e il ricatto. Per decenni i presidenti americani hanno messo in campo varie strategie per contrastare le pressioni cinesi sull’isola, come la fornitura di armi difensive e la sottoscrizione, sotto la presidenza Carter, del Taiwan Relations Act del 1979, come riconoscimento della democrazia vigente sull’isola e la stabilizzazione delle relazioni commerciali e culturali con il governo Taiwanese. Ma Joe Biden ha reso il rapporto “ambiguo” dichiarando di essere pronto “a fare per Taiwan più di quello che sta facendo per l’Ucraina” e nel caso estremo del conflitto armato, se l’esercito americano decidesse di non scendere in campo, perderebbe la sua credibilità nel Pacifico.
Sebbene la guerra a Taiwan sia irrazionale, non bisogna dimenticare che lo stesso giudizio era stato fatto qualche mese fa sull’ancora probabile guerra in Ucraina. Con una concentrazione di forze intorno all’isola come quella attuale, basterebbe poco per far scoppiare un secondo conflitto.
Pelosi capro espiatorio?
In una democrazia che si rispetti, una persona che ricopre una carica come quella della Pelosi può agire come ritiene opportuno, senza pagarne il prezzo, nonostante il parere negativo della Casa Bianca. Ma le manovre in atto intorno all’isola non sono di certo dovute solo alla visita della leader democratica.
La risposta cinese all’atterraggio del jet americano a Tapei era prevedibile, come lo è l’escalation militare della Cina, al centro di forti preoccupazioni da parte del G7 già da tempo. La visita di Nancy Pelosi non ha tanto creato un problema, quanto ne ha scoperto uno sottostante: ha messo a nudo il futuro di Taiwan, un’isola strategica al centro di due superpotenze. Un nodo che nei prossimi anni diventerà sempre più protagonista delle delicate questioni geopolitiche, che interessano quella che si prefigura come una guerra fredda 2.0.
